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Cosa unisce (e cosa differenzia) Bezos, Cook, Pichai e Zuckerberg. L’analisi di Aresu

Conversazione con l'analista Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, direttore scientifico della Scuola di Politiche e autore del saggio "Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina", sulle audizioni di Bezos, Cook, Pichai e Zuckerberg al Congresso Usa

 

Come sono andate le audizioni al Congresso Usa dei vertici di Amazon, Apple Google e Facebook? E quali sono le differenze di approccio nel rapporto con le istituzioni americane di Bezos, Cook, Pichai e Zuckerberg?

Start Magazine l’ha chiesto all’analista Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, direttore scientifico della Scuola di Politiche e autore del saggio “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina”.

Aresu, per Limes lei ha seguito le audizioni dei vertici di Amazon, Apple Google e Facebook al Congresso. Perché sul tema Usa-Cina Zuckerberg è parso più anti cinese di Bezos, Cook e Pichai?

Facebook usa da più tempo l’argomento “o noi o la Cina”, che in sintesi suona così: o ci fate fare quello che vogliamo, oppure invece di un’impresa americana, profondamente americana, arriveranno i cinesi. L’idea di posizionare Facebook in ottica anticinese viene dalla direttrice operativa Sheryl Sandberg, che è stata importante nell’espansione dell’impero di Zuckerberg dell’ultimo decennio. Sandberg conosce bene la sensibilità di Washington, è stata capo dello staff di Lawrence Summers nell’era Clinton. Facebook vede le capacità cinesi sui social media come una minaccia: lo stesso Zuckerberg sa che Wechat è un prodotto migliore del suo e, soprattutto, che TikTok è una minaccia diretta per Instagram. Dall’autunno, con una lunghissima inchiesta per i tempi tradizionali, il CFIUS sta indagando su TikTok, con risultati che vediamo proprio in questi giorni, quindi Zuckerberg ha parlato tenendo presente questo contesto.

Anche Google aveva aperto alla Cina, poi si è allineato ai desiderata dei militari Usa? Cosa ha detto Pichai?

Il rapporto di Google con la Cina è stato molto controverso. L’azienda ha visto opportunità in passato ma ha conosciuto già un decennio fa sulla sua pelle le linee rosse del Partito comunista cinese e l’impossibilità di operare in quel sistema per un motore di ricerca che non è cinese e non risponde al Partito. Quindi non credo che Google veda la Cina come un mercato importante, ci sono state alcune collaborazioni sull’alta tecnologia che hanno creato polemiche anche perché agitate da Peter Thiel, che è un nemico giurato di Google anche per ragioni di affari, oltre che di sensibilità personale. Pichai non è un amministratore delegato che si focalizza sulle questioni di sicurezza e non ha grandi ambizioni politiche, al contrario di Eric Schmidt. Ha chiarito i dubbi dei militari americani e continuerà a collaborare con gli apparati di Washington su alcuni fronti, tra cui i cavi sottomarini. Se ci saranno altri dubbi, avremo altri “chiarimenti”.

Che cosa è emerso dall’audizione di Bezos invece?

Prima volevo sottolineare un’assenza: Microsoft, guidata in modo eccellente da Satya Nadella, per ora è l’azienda vincitrice delle audizioni al Congresso, proprio perché non c’era, nonostante la sua capitalizzazione. Bezos fa categoria a sé. Si è presentato per la prima volta personalmente in audizione. I vantaggi competitivi di Amazon in alcuni ambiti, a partire dal cloud, sono impressionanti. Bezos è una figura anche ideologicamente interessante. Come tutti usa la propaganda sui posti di lavoro creati, ovviamente senza parlare né della loro qualità né dei posti di lavoro erosi e delle loro conseguenze sociali. Ma non è l’elemento che colpisce di più.

Cioè?

La cosa che, dal mio punto di vista, trovo più utile seguire è la sua sincera passione per le questioni di difesa e di sicurezza rispetto agli altri leader di Big Tech. Anche nell’audizione al Congresso, come al Reagan National Defense Forum, ha evocato la figura di suo nonno, Lawrence Preston Gise, che è stato decisivo per la sua formazione e che ha lavorato all’Atomic Energy Commission ma anche alla DARPA nella ricerca spaziale.

Davvero le istituzioni Usa vogliano limare gli artigli delle Big Tech? E come?

Pur essendo un grande amante della fantascienza, non ci credo mai quando quel genere letterario disegna mondi dominati esclusivamente dalle aziende. Questo mondo non si realizzerà: Mark Zuckerberg su Libra ha fatto flop, e se Jeff Bezos proverà a farsi un esercito – un esercito militare – come la Compagnia delle Indie, da ultimo gli verrà impedito. Come ho mostrato nel mio libro “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina”, che ci piaccia o no il mondo è dominato da potenze dove esiste l’abbraccio tra economia e politica, la loro fusione e relazione. Nella tecnologia ciò è inevitabile, soprattutto oggi per ragioni di sicurezza e per il “risveglio” generale su un “tecno-nazionalismo” che i potenti hanno sempre praticato.

Quindi che cosa succederà?

Bisognerà vedere quanto il dominio di mercato di alcuni degli attori Big Tech (che ovviamente influenzano la politica coi soldi) sarà considerato conveniente e utile dagli apparati statunitensi, anche nel conflitto con la Cina, oppure se le obiezioni politiche e democratiche al loro potere avranno la meglio su alcuni dossier specifici. We’ll see what happens, come direbbe Trump, anche quando non ci sarà più Trump.

Su questo ci sono differenze tra repubblicani e democratici?

Nei democratici convivono due anime. La prima, prevalente nell’amministrazione Obama, ha visto nella Silicon Valley sia il bene che lo strumento di libertà, cioè di influenza. Ricordiamo sempre il dibattito di un decennio fa sulle “primavere arabe”, in cui solo pochi autori come Evgeny Morozov avevano capito il vero nocciolo della questione, dietro una impressionante – e in alcuni casi, inutile – patina di propaganda. La seconda anima democratica è invece legata a procedimenti antitrust che colpiscano il “potere di mercato” e la grande dimensione aziendale. E se Alexandria Ocasio-Cortez farà le magliette “Break’em up”, i giovani democratici le indosseranno facendosi video su Instagram (quindi arricchendo chi insultano).

E i repubblicani?

I repubblicani in genere sono più sensibili all’aspetto securitario, come mostrano anche le domande del Congresso. Da parte di Trump poi ci sono anche simpatie personali per l’uno o per l’altro, l’influenza di Thiel e di Kushner, in uno schema abbastanza confuso. In ogni caso, più in generale non bisogna mai dimenticare che il conflitto tecnologico Stati Uniti-Cina è strutturale, come mostrato dalle parole di Nancy Pelosi su Huawei all’ultima Conferenza sulla sicurezza di Monaco.

Ultimo aspetto. Su Limes, parlando della “crescente diffidenza da parte europea di aziende statunitensi di cui i loro sistemi industriali sono sostanzialmente vassalli”, lei ha scritto che “vedremo una maggiore soggettività europea sulle infrastrutture, con probabile esclusione da alcuni mercati sensibili di attori extraeuropei, nell’impresa difficile di recuperare un enorme ritardo”. Cioè? Il caso dell’indagine dell’antitrust Ue su Google per Fitbit è emblematica secondo te?

Nei prossimi anni, vedremo i Paesi europei intenti a recuperare “sovranità tecnologica”, secondo la strada indicata da Merkel e Macron. Strada non semplice, percorso molto accidentato, perché il ritardo accumulato dagli europei in un grande sonno mentre gli altri erano svegli e vigili è molto profondo, e spesso non compreso dagli stessi decisori. Siccome gli interessi europei e statunitensi in quest’ambito sono spesso confliggenti, nella tassazione delle aziende e nelle infrastrutture, ci saranno sicuramente questi tentativi, anche con l’uso dell’antitrust per recuperare sovranità e avanzare un modello diverso, e con la definizione di alcune “infrastrutture strategiche” a livello europeo.

E’ sicuro che ci sarà uno scontro totale?

E’ possibile che dopo alcune tensioni, e anche in contemporanea con queste tensioni su tavoli paralleli, si vada verso standard transatlantici comuni. Già l’anno scorso su Limes ipotizzavo un golden power in ambito Nato o con una geometria simile. In ogni caso, il tema posto da questo dibattito, come ho scritto su L’Espresso, è la profonda competizione sulla capacità tecnologica e industriale, e di preparazione e attrazione del capitale umano, dei vari sistemi. Compresa l’Italia, in cui pesa anche a livello di statura geopolitica la drammatica storia delle telecomunicazioni e dei servizi tecnologici nazionali degli ultimi vent’anni, oltre alla scarsa dimensione delle nostre imprese del settore: l’Italia potrà partecipare a questo “gioco”, grande o piccolo che sia, solo rafforzandosi internamente.

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