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Elezioni Germania

Cosa succede alla locomotiva tedesca? Dibattito in Germania

Fatti, numeri, analisi e scenari sull’economia tedesca dopo i pessimi dati del secondo trimestre dell'anno. L’approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Per la Frankfurter Allgemeine Zeitung non ci sono dubbi: quella causata dalla pandemia è la crisi economica del secolo. Il dato dell’Ufficio federale di statistica Destatis sul Pil tedesco nel secondo trimestre di quest’anno è piombato come un macigno, perché peggiore rispetto a ogni più pessimistica attesa: -10,1% su base congiunturale, come riportato ieri da Start. È il minimo storico da quando nel 1970 fu introdotta la misurazione della variazione trimestrale del Pil. Per fare un analogo riferimento recente, il calo trimestrale più forte nel periodo della crisi finanziaria del 2008-2009 era stato del 4,7%, cifra che oggi appare quasi innocua. E di “recessione del secolo” ha parlato anche l’economista di Dekabank Andreas Scheuerle, commentando i dati sull’Handelsblatt. Le cifre di Destatis hanno dato ufficialità alle preoccupazioni più cupe.

EFFETTO LOCKDOWN

Le previsioni sul secondo semestre 2020 erano sempre state molto temute, perché coincidevano con la fase di lockdown decretata per flettere la curva esponenziale dei contagi. Il dato numerico però è peggiore di quanto stimato in un primo momento: a marzo i saggi consulenti del governo ipotizzavano un -4,5%. Esso certifica che l’impatto delle chiusure sull’economia è stato molto più profondo e che la ripresa sperata è stata (e forse sarà) più lenta e complicata. Il superamento della soglia del 10% ha aggiunto poi un effetto psicologico da non trascurare.

A metà marzo, di fronte al numero crescente dei contagi, per evitare che la situazione finisse completamente fuori controllo, Länder e governo hanno ridotto al minimo l’attività sociale ed economica: ristoranti e caffè chiusi, i primi abilitati solo all’asporto con rigide misure di sicurezza, produzione industriale gradualmente ridotta se non in molti casi completamente fermata, attività dei servizi anch’essa ridotta al minimo, con massiccio ricorso all’home working. Il blocco delle sole due settimane di marzo aveva già condizionato l’andamento del Pil nel primo trimestre, diminuito del 2%. Rimessa in moto l’economia, non tutti i settori hanno ripreso a marciare come sperato.

LA PARALISI NEI PAESI PARTNER

Ma il lockdown interno non spiega tutta la crisi. Gli economisti interpellati dai quotidiani richiamano le più pesanti paralisi avvenute in alcuni importanti paesi partner, come Italia, Spagna e Francia, che da un lato hanno prodotto le interruzioni delle catene di rifornimento, dall’altro affossato la domanda. Ancor più  gravosa è stata la dinamica che ha investito gli Stati Uniti, il mercato di sbocco più importante della Germania, dove l’impatto del virus e soprattutto la sua maldestra gestione hanno prodotto il crollo storico del 32,9% del Pil su base annua. Se pure l’economia tedesca fosse stata capace di riprendersi immediatamente, l’impasse nei fondamentali mercati di sbocco non avrebbe potuto cambiare le carte in tavola.

Soprattutto le previsioni sugli Stati Uniti erano state eccessivamente ottimistiche, come aveva già confessato qualche giorno fa il presidente dei cinque saggi economisti Lars Feld in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine.

RIPRESA NEL COMMERCIO E NELLA GASTRONOMIA

Inoltre, concordano gli economisti, i segnali di ripresa segnalati già dal mese di maggio riguardano il settore del commercio, dai negozi alla gastronomia: i dati in tempo reale, raccolti dalle piattaforme di prenotazione online dei ristoranti o dalle misurazioni delle presenze dei pedoni nelle aree commerciali, indicano in effetti una ripresa dei consumi, questa addirittura più robusta rispetto ai timori degli esperti. Anche il turismo interno sta riuscendo in parte a compensare il calo dei visitatori stranieri. Ma si tratta di settori che incidono in maniera più marginale sulla composizione del Pil rispetto all’industria e ai fornitori di servizi a essa legati, che invece stanno incontrando più fatica. I dati in tempo reale che possono dare un’idea di come si sta muovendo il settore indicano una ripresa molto più difficoltosa: i consumi di corrente elettrica sono ben lontani dal periodo pre-covid mentre il traffico dei tir sulle autostrade tedesche comincia a dare segnali più incoraggianti, ha riportato la Faz.

L’INDUSTRIA INVECE ARRANCA

Il settore industriale aveva già rallentato prima del coronavirus. “Da almeno due anni le commesse erano in calo, a causa delle guerre commerciali, dei timori per la Brexit e per i ritardi strutturali accumulati in alcuni rami come quello automobilistico”, ha detto all’Handelsblatt Friedrich Heinemann, economista del Leibniz-Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung di Mannheim (Zew). A suo avviso, le cifre annunciate da Destatis sono “preoccupanti, ma non tali da suscitare panico”. Il governo ha reagito in maniera intelligente, adottando misure che hanno consentito di affrontare la fase acuta della crisi: ora i sostegni economici non devono però alimentare “una politica conservativa” ma devono essere canalizzati in strategie di digitalizzazione e modernizzazione dell’intera struttura economica, industriale e commerciale.

IL PEGGIO È PASSATO

Ci si chiede se si possa almeno considerare alle spalle il punto più basso della crisi. Su questo gli economisti sono ottimisti con cautela. “Il peggio è passato ma le conseguenze della pandemia graveranno ancora per molto tempo sull’economia tedesca”, ha detto Stefan Kooths, direttore del centro di previsione dell’Institut für Wirtschaftsforschung di Kiel (Ifw), “anche se nel terzo trimestre il Pil dovesse rimbalzare del 7%, bisognerà attendere la fine del 2021 per ritornare ai livelli pre-covid”. Altri esperti ormai ritengono che tale livello non potrà essere raggiunto prima del 2022.

Alcuni indicatori inducono all’ottimismo. Tra questi i recenti indici sulla fiducia delle imprese di Ifo e Gfk. “Ma essi indicano le attese per il futuro,”, ha osservato Ralf Umlauf, economista della Landesbank di Assia e Turingia Helaba, “mentre la situazione attuale è considerata dagli stessi imprenditori ancora molto difficile”. A suo giudizio, “è ancora presto per festeggiare il cessato allarme”.

OCCUPAZIONE ANCORA STABILE

Almeno il mercato del lavoro sembra ancora immune dalla tempesta. Qui si mostra con maggior evidenza l’efficacia di alcune misure governative, come il sostegno finanziario alle imprese per il lavoro ridotto: un provvedimento lanciato durante la crisi finanziaria del 2009 e rinnovato con maggior vigore e tempestività questa volta. I dati forniti dall’Ufficio del lavoro (Bundesagentur für Arbeit, Ba) per il mese di luglio sono confortanti: i disoccupati sono aumentati di 57.000 unità raggiungendo i 2,91 milioni. Sono numeri contenuti, peraltro non inconsueti nel mese di luglio, quello delle ferie. Per Daniel Terzenbach, presidente della Ba, l’andamento dei prossimi mesi dipenderà da tre fattori: la dinamica del contagio globale, il livello e la qualità degli investimenti, il numero dei fallimenti. Gli economisti temono che l’autunno porterà una catena di insolvenze tra aziende e attività commerciali.

TRA POLITICHE ESPANSIVE E NOSTALGIA DEL RIGORE

In tempi così incerti, le previsioni stesse hanno una pura valenza indicativa e fotografano più le aspettative del momento. Permangono i timori per una seconda ondata di contagi, non solo in Germania ma anche negli altri paesi partner industriali e commerciali. Ma per Alexander Hagelüken, firma di punta della Süddeutsche Zeitung, il governo tedesco si è finora mosso bene, riuscendo a contenere i danni della pandemia. Anche sul piano europeo, spingendo per misure che stabilizzassero la situazione su quello che anche per la Germania resta il principale mercato dell’export. Alla politica il quotidiano di Monaco chiede un ulteriore sforzo per tutelare le categorie meno difese, come i lavoratori in affitto, quelli poco qualificati e le donne che hanno dovuto accollarsi il peso della gestione casalinga dei figli dovuta alla chiusura di scuole e asili, spesso riducendo la propria attività lavorativa. Un impegno che richiederebbe nuove spese e nuovi debiti. Gestibili, secondo la SZ. Ma non secondo la Faz, che in un suo commento ammonisce l’esecutivo a “evitare adesso una seconda ondata di politiche espansive”. La ricomparsa di qualche editoriale “rigorista” sulla stampa tedesca è comunque un segnale di graduale ritorno alla normalità.

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