Ci pare che le considerazioni espresse ieri a caldo sulla fine del pontificato di Francesco e sul futuro della Chiesa cattolica possano essere confermate oggi, con qualche integrazione. La parola “ultimi” che prevale nei commenti sulla scomparsa identifica il pauperismo come tratto tipico di Bergoglio, correlato alla sua formazione di prete ben più impegnato nella pastorale che nella dottrina, al messaggio evangelico e francescano del quale si volle rimarcare come epigono sin dalla scelta del nome, alla sua appartenenza a una nazione segnata in modo cronico da problematiche socio-economiche.
Quest’ultimo aspetto “peronista” è a sua volta latore di altri collegamenti, con la simpatia riscossa presso il “popolo” dei semplici (un Papa che prende e alza il telefono come può non piacere?), quella meno scontata e reciproca con Giorgia Meloni, l’ostilità almeno in parte superata con Javier Milei e soprattutto l’utopismo del Santo Padre, la sua tendenza ad affrontare i grandi problemi in modo genericamente ideale, se non ideologico: a partire da valori basici come la pace fino a questioni più specifiche come l’ambiente o le migrazioni. Bergoglio non raffinava il suo metro, alla sua semplificazione vittimistica mancavano correzioni dubitative, del tipo: i migranti sono in genere i meno poveri dei più poveri e farli spostare non è certo una soluzione radicale, l’impatto ambientale è l’effetto collaterale dello sviluppo materiale che ha emendato dalla miseria gran parte del mondo, gli eccessi difensivi di Israele vanno parametrati all’ineludibile tutela della sua identità nel magma musulmano mediorientale.
Connotazioni e contraddizioni simili sono inevitabili nell’approccio alla realtà tramite l’etica religiosa. Si può dire che il Papa si inquadrava nella storia della Chiesa recente, che è sempre meno dottrinaria, rituale, soteriologica e sempre più agenzia sociale: l’espressione bergogliana di “ospedale da campo” è davvero efficace in tal senso.
Prevedibilmente, la stragrande maggioranza dei sentimenti espressi dopo la morte sono di affetto e cordoglio, per buona educazione e per la simpatia che il Papa ha saputo stabilire, come detto anche ieri. Tranne poche eccezioni di cattivo gusto, chi ha voluto rimarcarne i limiti (imperdibile l’intervista di Libero all’ex direttore dell’Osservatore, Vian) ha ricordato soprattutto il piglio brusco (torniamo alla pastorale di Baires, che non dev’essere stata tutta latte e miele), con cadute nel turpiloquio e gesti di insofferenza che tutti ricordiamo, e l’accentramento ai limiti del totalitarismo dei poteri, soprattutto economici. Un centralismo frutto del disorientamento che un uomo così lontano anche fisicamente dalla Curia avrà provato una volta che vi è stato precipitato dentro, accentuato dal carattere deciso che l’ha portato senza tema a inimicizia con molti collaboratori (Muller, Bertone, Becciu, etc.).
Era, semplicemente, convinto che nei corridoi clericali si brigasse per concludere affari loschi e maturare interessi personali, che Roma fosse una Gomorra di scandali: magari in parte a ragione, per carità, ma come fosse un medio pellegrino argentino, informato o sobillato da voci di corridoio, appunto. Non a caso, si riteneva vittima di molti maldicenti, anche in tal caso forse a ragione. Così facendo ha ottenuto risultati di ripulitura che molti reputano deludenti. Un sempliciotto della periferia del mondo o un abilissimo gesuita? Forse la verità sta in mezzo.
Si può, anzi si deve essere comprensivi, su questo come sui rapporti a dir poco ambigui condotti con Benedetto XVI, vezzeggiato come il nonnino (in realtà di poco maggiore di età) da andare a trovare ma contraddetto su decisioni fondamentali come la tolleranza concessa ai cosiddetti tradizionalisti lefebvriani. In questi casi Bergoglio ha sbagliato, ma l’imbarazzo di trovarsi a gestire la convivenza, a tratti la diarchia, con un predecessore che anziché ritirarsi in eremitaggio è rimasto a vivere in Vaticano giustifica qualche errore.
Come andrà a finire, chi arriverà a sostituirlo, che Papa sarà il prossimo? I media corrono dietro ai nomi dei soliti noti, secondo la legge di Matteo statuita da Merton, ma la realtà è un gran bailamme. Francesco, anche qui in continuità con il predecessore, ha creato cardinali extraeuropei a man bassa, gli italiani sono ormai pochi, le nomine sparse per il globo terracqueo metteranno a conclave prelati che non si conoscono. Insomma andrà a capocchia come quasi sempre. Si chiama Spirito Santo, per chi crede.