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Cosa pensano Berlusconi e i berlusconiani di Meloni premier

L’Europa accetterebbe Meloni a Palazzo Chigi? La risposta sibillina di Berlusconi e non solo...

Impaziente com’è sempre quando vede un affare a portata di mano – e che affare in questo caso, trattandosi dell’autoliquidazione di Giuseppe Conte e di ciò che gli resta o resterà del MoVimento 5 Stelle- Silvio Berlusconi in asse con Matteo Salvini ha posto dal suo buon ritiro in Sardegna un veto a Mario Draghi contro la permanenza dei grillini al governo. Ed ha cercato di accelerare la crisi verso le elezioni anticipate, se e quando i presidenti del Consiglio e della Repubblica la scongeleranno: il primo confermando le dimissioni dopo la verifica parlamentare di mercoledì e il secondo firmando, forse senza neppure il rito delle consultazioni, il decreto di scioglimento delle Camere elette nel 2018. Nelle quali francamente è accaduto di tutto perché si possa scommettere senza imbarazzo su qualche altra cosa eccentrica sino al compimento ordinario di una legislatura nata all’insegna della “centralità” dei grillini, come addirittura dei democristiani nella cosiddetta prima Repubblica.

Eppure c’è qualcosa di forse troppo affrettato nello scatto di Berlusconi. Che mi sembra più smanioso -ripeto- di arrivare alle elezioni che di arrivarvi nelle migliori condizioni possibili per un centrodestra che continua -per carità- ad essere in testa in tutti i sondaggi, ma è attraversato anch’esso al suo interno da tensioni e confusioni che potrebbero nuocergli in campagna elettorale.

Diversamente dalla campagna del 2018, quando Berlusconi disse che in caso di vittoria Palazzo Chigi sarebbe spettato al partito più votato della coalizione, non immaginando forse che davvero la sua Forza Italia sarebbe stata sorpassata dalla Lega di Matteo Salvini, questa volta l’ex presidente del Consiglio ha voluto lasciare aperta la questione. In una intervista alla Stampa del 13 luglio egli ha detto come più riservato non poteva che “alla fine del percorso, non certo all’inizio, individueremo insieme la figura col profilo più adeguato” alla Presidenza del Consiglio. Ma la domanda era stata altrettanto chiarissima: “Se Meloni fosse la più votata del centrodestra alle prossime elezioni, Palazzo Chigi toccherebbe a lei?”.

Neppure in versione, diciamo così sublimale, la domanda aveva smosso Berlusconi dalla paura di riconoscere alla leader dichiaratamente conservatrice del centrodestra, non più in versione ex Movimento Sociale o ex Alleanza Nazionale, un diritto di prelazione sulla guida del governo se più baciata dagli elettori. L’Europa – gli era stato chiesto – accetterebbe Meloni a Palazzo Chigi? E lui: “L’Europa non sceglie il nostro presidente del Consiglio. E’ una prerogativa che spetta esclusivamente al capo dello Stato, sulla base delle scelte del corpo elettorale”. Una risposta francamente diversa, anzi contraria all’abitudine del Cavaliere, in passato, di attendersi dal Quirinale ben altra discrezionalità dopo le elezioni.

Non so, francamente, se questo problema così sbrigativamente rimosso da Berlusconi potrà risultare irrilevante in una campagna elettorale per la confusione che nasconde, e per quella che gli avversari saranno interessati invece a ingigantire. E ciò specie se costoro non saranno più raccolti nel “campo santo”, come lo stesso Berlusconi lo ha definito, del Pd e 5 Stelle ma nel campo del Pd e fritto misto di centro.

Eppure un amico di Berlusconi fedele di nome e di fatto come Confalonieri, appena intervistato per il Corriere della Sera da Aldo Cazzullo fra le guglie del Duomo di Milano, della cui Veneranda Fabbrica è presidente, si è sentito di spendere una parola a favore della Meloni piuttosto che di Salvini. Il quale “dà l’impressione di parlare tanto e girare un pò a vuoto”. La Meloni invece “piace molto“ a Confalonieri. “Da ragazza -ha detto – era pure lei un po’ fascistina, però adesso che le puoi dire? Ci proveranno, l’attaccheranno. Ma se dovessi dare un consiglio a Silvio, gli direi di puntare sulla Meloni. E’ lei che può riportare il centrodestra a Palazzo Chigi”.

Incalzato da Cazzullo sul terreno del “populismo” rimproverato alla giovane leader della destra, sentite che cosa ha risposto Confalonieri: “Io nel Silvio delle origini vedevo una punta di populismo: quel rifiuto del teatrino della politica, che un po’ è anche stato dei 5 Stelle. Oggi Berlusconi dice tutte cose giuste: l’Europa, l’atlantismo, la moderazione. Ma ai poveri chi pensa? Ai ragazzi che non trovano lavoro e vanno all’estero?”.

Questo Confalonieri così comprensivo o aperto al populismo francamente non lo ricordavo, pur avendolo frequentato. E neppure il Confalonieri su Draghi e la guerra in Ucraina ascoltato da Cazzullo in risposta alla domanda se l’attuale presidente del Consiglio debba “andarsene o restare”: “Meglio che resti. Certo, non è bello che un Paese sia commissariato, ma è il destino di chi ha troppi debiti. Però – ha detto il primo e più sincero amico di Berlusconi – non mi piace la linea di Draghi sulla guerra, sulle armi. Noi siamo un popolo di santi e di navigatori, non di guerrieri”.

Immagino il sorrisetto compiaciuto di Conte nell’ultima versione di un passo indietro ad Alessandro Di Battista. E la delusione dell’iperatllantista Meloni appena candidata dallo stesso Confalonieri a Palazzo Chigi.

Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao godendone sulla terra.

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