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Placement

Cosa non va nelle università italiane

Il post di Alessandra Servidori

Nei giorni in cui ospitiamo a Roma una serie di eventi nell’ambito del G20, una ricerca evidenzia che le Università italiane sono fuori dalla classifica delle 100 migliori Accademie dei paesi componenti il gruppo  riunito, sottolineando così ferocemente i ritardi culturali e strutturali del sistema universitario nostrano. Peraltro i dati Eurostat hanno anche recentemente evidenziato il divario tra Italia ed Europa rispetto alla percentuale di laureati tra i 30-34 anni e al loro inserimento nel mondo del lavoro a tre anni dal conseguimento del titolo magistrale.

Tutte le analisi  ci inducono ad investire e ad accelerare un solido ponte tra università e imprese, che più di tutti può garantire una transizione agevole per i giovani dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro. Già 11 anni fa con la legge 183/2010 il legislatore ribadiva il ruolo (sancito per la prima volta nel nostro ordinamento anche dal D.Lgs 276/2003) delle Università come attore chiave rispetto al (difficile) incontro tra domanda e offerta di lavoro, stabilendo l’obbligo, per ogni Ateneo, a svolgere precisi servizi di intermediazione: pubblicazione gratuita dei curricula dal giorno dell’immatricolazione del singolo studente fino ai 12 mesi successivi al conseguimento del titolo, con accesso libero da parte delle aziende interessate; obbligo di interconnettersi alla allora Borsa Nazionale del Lavoro attraverso il portale www.cliclavoro.gov.it; fornire alle Regioni e al sistema nazionale ogni informazione utile al monitoraggio dei fabbisogni professionali e al buon funzionamento del mercato del lavoro.

Ma in verità tutto ciò non avviene in maniera conforme ed è ancora un miraggio per gli studenti avere attraverso il placement un rapporto con le aziende italiane.

Certo esistono alcune buone prassi consolidate che consistono in veri e propri incontri con gli studenti per la revisione dei loro curricula o seminari su come sostenere efficacemente un colloquio di lavoro. Ma rimangono ancora attività troppo disomogenee nel loro grado di diffusione a livello nazionale e nella loro qualità.

Il ruolo del placement è strategico quando la connessione tra studente e mondo del lavoro si crea già durante il percorso formativo, con l’obiettivo di fornirgli, in itinere, quegli strumenti e quella consapevolezza che gli permetteranno di orientarsi al meglio nel mondo del lavoro o, in qualche caso, di avere già un’occupazione ancora prima di aver conseguito gli studi, ad esempio attraverso apprendistati di III livello, che garantiscono una crescita parallela e proficua del bagaglio formativo e professionale attraverso il metodo dell’alternanza, senza costringere lo studente a “scegliere” se studiare o lavorare (come in molti casi già avviene, soprattutto per quanto riguarda gli studenti delle lauree a indirizzo informatico o ingegneristico di I livello, tanto richiesti dalle imprese).

Nella maggior parte degli atenei sembra che la platea di imprese con le quali i ragazzi vengono in contatto sia ancora concentrato più su quelle di grandi dimensioni, lasciando meno spazio alle Pmi. Basta considerare momenti come i recruiting day o i career day, vere occasioni d’incontro e di scambio di storie di successo tra giovani ed esperti di ricerca e selezione, responsabili HR, figure manageriali, emerge chiaramente come ci sia ancora molta strada da fare.

La mancanza di dati di monitoraggio sistematici non permette di capire quanto l’incontro tra studenti e imprese si evolva in un’opportunità formativa (stage o tesi in azienda) o di lavoro (apprendistato, contratto a tempo determinato).

Poi la verità  è che  la richiesta di un pagamento  per l’organizzazione di recruiting o career day che, in teoria, dovrebbero essere inclusi nelle attività di intermediazione delle università, quindi non a scopo di lucro, è comunque indubbio che i costi richiesti, soprattutto relativamente ad atenei pubblici di grandi dimensioni, salgono molto, diventando quasi insostenibili per una Pmi.

Una novità recente è rappresentata da cd decreto reclutamento che introduce l’importante novità per le pubbliche amministrazione: la possibilità di stipulare, seppure in deroga al regime ordinario, contratti di apprendistato, destinati a giovani neo diplomati e studenti universitari compresi i dottorandi di ricerca. In relazione a specifici progetti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato professionalizzante (c.d. “secondo livello”) e di alta formazione e ricerca (c.d. “terzo livello) per coinvolgere in percorsi di formazione e lavoro giovani già in possesso di diploma secondario superiore, e studenti iscritti a percorsi terziari accademici, dalla laurea fino a master e dottorato di ricerca.

È importante nei confronti dei giovani la costruzione di percorsi di inserimento basati sulla crescita professionale delle risorse umane grazie ad un investimento sulla loro formazione e sulle loro competenze – elementi assolutamente innovativi, almeno per il lavoro pubblico italiano.

Sono passati ben 10 anni da quando, per la prima volta, il legislatore (2011) aveva previsto la possibilità di attivare contratti di apprendistato anche all’interno del lavoro pubblico ma neanche il Jobs act era riuscito a raggiungere l’obiettivo di realizzarlo.

Le sfide legate alla gestione dei progetti (e dei fondi) connessi al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha ragionevolmente dato una spinta decisiva nel reclutamento dei giovani nella pubblica amministrazione e risponde alla formazione e ai nuovi fabbisogni professionali delle amministrazioni pubbliche, poiché l’apprendistato professionalizzante impone la necessità di una rinnovata attenzione alla costruzione dei profili professionali e dei sistemi di classificazione del personale operanti all’interno del pubblico impiego e delle competenze ad essi connesse, accompagnata da una necessaria strutturazione di percorsi di formazione nel lavoro per il raggiungimento di tali qualificazioni.

L’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca impone la strutturazione di innovative sinergie tra enti pubblici e istituzioni dell’alta formazione italiana per la progettazione dei profili formativi e la gestione della alternanza tra la formazione svolta sul lavoro e quella erogata dalle Università, aprendo così le porte anche ad ulteriori rapporti costruttivi per favorire processi di formazione continua e di ricerca.

Elementi cruciali per la ripresa economica e sociale che  per la buona gestione e messa a terra dei progetti e delle risorse del Pnrr perché dà linfa vitale alle persone alle imprese alle università anche perché  necessariamente si deve adeguare tutta la disciplina dell’apprendistato uno strumento formidabile per innovare (e rinnovare) la sua organizzazione e il suo ruolo all’interno della società.

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