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Landini

Cosa ha detto (e cosa non ha detto) Fontana nel discorso alla Camera

Il discorso del neo presidente della Camera, Lorenzo Fontana, commentato da Giuliano Cazzola

 

In politica, i discorsi si qualificano e sono giudicati non solo per le cose che vengono dette, ma anche per quelle che sono omesse. E, a mio avviso, sono proprio queste ultime le parti più criticabili del discorso di insediamento del presidente Lorenzo Fontana.

Con tutto il rispetto dovuto a chi rappresenta la terza carica dello Stato, ritengo che Fontana (diversamente da Ignazio La Russa al Senato) non abbia avvertito l’esigenza di rassicurare quella quota di opinione pubblica (una minoranza?) preoccupata di avere al vertice delle istituzioni repubblicane una personalità per la quale la Russia di Putin costituisce “un riferimento” contro il degrado prodotto dalla nuova generazione di diritti civili (tanto cari alla sinistra) e dall’immigrazione.

È vero che, dopo l’aggressione russa alla Ucraina, Fontana ha rilasciato dichiarazioni critiche su Putin e la sua impresa, che hanno assunto un significato particolare, essendo lo stesso Fontana responsabile della politica estera della Lega. Ma l’opportunità di parlare dallo scranno più alto della Camera poteva rappresentare l’occasione per fugare ogni dubbio e ribadire il medesimo convincimento che il governo e il Parlamento italiano hanno sempre ribadito fin dall’inizio della tragedia del popolo ucraino.

“Parigi val bene una messa” disse Enrico IV di Borbone abiurando la fede calvinista per salire sul trono di Francia. Ma il giovane pluri-laureato Lorenzo Fontana (parlamentare europeo e nazionale di lungo corso) è persona di saldi principi. Nel suo discorso sono scomparse o appena accennate alcune parole che da mesi sono sulla bocca di tutti gli italiani, riprodotte sui quotidiani e pronunciate un numero infinito di volte nei programmi televisivi.

Non viene mai nominato Putin, non vi sono riferimenti all’aggressione dell’Ucraina, ma la guerra viene ricordata per l’esigenza di cercare la pace, con un occhio attento al Vaticano. “Il Papa sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza uguali”. Poi, ricordando gli impegni iscritti all’ordine del giorno della XIX legislatura, il neopresidente è tornato sull’argomento con toni talmente generici da risultare ingiustificati e ingiustificabili, quali: “la prosecuzione dell’impegno nella ricerca della pace nel generale quadro della comunità internazionale e nei rapporti tra Ucraina e Russia”.

Un auspicio che rimane al di sotto di qualsiasi “minimo sindacale”, benché da noi la manifestazione di una critica radicale nei confronti dello zar del Cremlino avrebbe comunque l’ampia copertura delle parole di condanna, con tanto di nomi e cognomi, pronunciate in decine di occasioni ufficiali dal capo dello Stato: quel Sergio Mattarella definito da Fontana “perno della nostra nazione e fondamentale garante della nostra Costituzione”.

Il neopresidente della Camera è stato meno reticente nel ripescare i fondamentali del pensiero leghista tornati in auge per iniziativa del Senatur. “La nostra è una nazione multiforme con diverse realtà storiche e territoriali che l’hanno formata e l’hanno fatta grande: la grandezza dell’Italia è la diversità. Interesse dell’Italia è sublimare (sic!) le diversità”. Quello che bisogna evitare è “l’omologazione, strumento dei totalitarismi”.

Qualcuno di buona volontà ha voluto intravedere, in questo elogio della “diversità” (e nella condanna della “omologazione”), una revisione del pensiero di cattolico integralista e tradizionale rispetto alle accuse di omofobia e di negazione di quei nuovi ‘’diritti civili’’ che, nella cultura della sinistra cattocomunista, hanno soppiantato tanto la dottrina sociale della Chiesa, quanto il marxismo-leninismo (il ddl Zan ha preso il posto della Rerum novarum e del Manifesto del 1848).

Ma per sostenere che sia in corso una trasformazione tanto profonda nel pensiero del presidente della Camera, occorre essere disperati. Si tratta piuttosto di un invito a risalire fino alla sorgente del Po, per dare nuovamente al Veneto la speranza di ottenere dal nuovo governo quell’autonomia differenziata a cui Luca Zaia affida il recupero del consenso perduto il 25 settembre.

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