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Cosa cambia a sinistra dopo le vittorie a Genova e Ravenna? Parla il prof. Vassallo

Il punto su presente e futuro del centrosinistra dopo le elezioni a Genova e Ravenna. Conversazione di Stefano Feltri con il politologo Salvatore Vassallo. Estratto da Appunti

Salvatore Vassallo è un politologo dell’Università di Bologna e direttore dell’Istituto Cattaneo. Dopo il voto di Genova si sentono commenti di segno opposto, chi celebra l’aumento dell’affluenza e chi denuncia il problema cronico dell’astensionismo. Sulla base delle consultazioni più recenti, cosa possiamo dire dell’andamento dell’astensione?

Chi parla di crescita della partecipazione, probabilmente lo fa guardando solo al dato del Comune di Genova, dove effettivamente — rispetto alle precedenti amministrative — c’è stato un aumento. Tuttavia, va ricordato che alle elezioni del 2022 il tasso di partecipazione a Genova era stato molto basso, anche rispetto alla storia elettorale della stessa città.

Se invece consideriamo l’insieme dei comuni coinvolti in questa tornata elettorale, vediamo che il tasso di partecipazione è esattamente identico a quello delle precedenti amministrative: 56,3%.

Quindi, se volessimo davvero prendere queste elezioni come indicatore di una tendenza, potremmo solo dire che si registra una battuta d’arresto nel trend di lungo periodo che vede una partecipazione sempre più bassa.

Vediamo anche un altro elemento già noto: il calo della partecipazione alle amministrative è più marcato nei grandi comuni del Nord. Non esiste più, quindi, quel fenomeno — una volta molto evidente — del divario nei tassi di partecipazione tra Nord e Sud, dove storicamente il Sud votava di meno.

Dal punto di vista delle alleanze, che implicazioni può trarre il centrosinistra dal risultato di Genova, anche in vista delle regionali d’autunno? Il campo largo per vincere ha bisogno di tutti, da Renzi ai Cinque stelle?

Se vogliamo trarre delle considerazioni dalle recenti elezioni amministrative, prendendole come un indizio, un indicatore di tendenze più generali, possiamo dire che — senza dubbio — il cosiddetto campo largo ha bisogno di tutte le sue componenti per risultare competitivo. Semplificando, queste anime sono almeno quattro: il Movimento 5 Stelle, l’area Verdi e Sinistra, il Partito democratico guidato da Elly Schlein, e quell’area ancora divisa al suo interno che comprende Azione, Italia Viva e +Europa.

D’altro canto, i numeri emersi dalle amministrative indicano una sostanziale stabilità degli elettorati, o perlomeno dell’equilibrio tra centrodestra e campo largo. A Genova, come a Ravenna, i candidati vincenti hanno ottenuto percentuali di voto molto simili a quelle che il campo largo aveva raccolto alle europee e alle regionali del 2024, e in realtà inferiori a quelle registrate complessivamente nel 2022.

Sappiamo che questo è in parte dovuto al fatto che l’elettorato del Movimento 5 Stelle tende ad astenersi più degli altri in occasione delle elezioni amministrative ed europee. Resta il fatto che l’equilibrio tra sinistra e destra è rimasto sostanzialmente stabile. E, senza un perimetro ampio e inclusivo, il centrosinistra — o comunque lo si voglia chiamare — ha poche possibilità di competere.

Il referendum dell’8-9 giugno difficilmente raggiungerà il quorum ma può compattare la coalizione di centrosinistra verso la sinistra incentrata sulla Cgil di Maurizio Landini. Questo è un vantaggio, perché permette di mobilitare delusi passati all’astensione, o un limite perché può scoraggiare i moderati al centro?

In effetti, è difficile immaginare che il quorum venga raggiunto, per ragioni note. È quindi corretto interpretare l’iniziativa referendaria come una strategia di mobilitazione del proprio campo politico, finalizzata a sostenere una specifica agenda legislativa: quella proposta dalla CGIL di Landini, alla quale aderiscono però anche varie componenti importanti del cosiddetto campo largo, dai Verdi e Sinistra a Conte e Schlein.

Questo può portare voti aggiuntivi? È possibile che, in occasione dei referendum, alcuni potenziali astensionisti decidano straordinariamente di partecipare.

Tuttavia, è difficile pensare che questo possa produrre un effetto quantitativo tale da alterare in modo significativo gli equilibri di una competizione politica nazionale.

Per ciascuno dei partiti coinvolti — e in particolare per il Partito Democratico — essere parte di questa strategia rappresenta comunque un’occasione per rafforzare la mobilitazione della propria base, quella più attiva o potenzialmente attivabile.

È una linea d’azione che Elly Schlein sta perseguendo da tempo, con un’impronta molto chiara: basti pensare che il tesseramento degli ultimi anni è stato promosso con lo slogan “casa per casa, strada per strada”, accompagnato, sullo sfondo, dall’immagine degli occhi di Enrico Berlinguer.

Un chiaro richiamo alla storia della sinistra italiana, in particolare del Partito Comunista, a un impegno militante sui temi sociali e, naturalmente, a un legame piuttosto stretto con organizzazioni come la CGIL.

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