skip to Main Content

Javier Milei

Coronavirus, che cosa succede in Argentina, Colombia, Perù e Venezuela

Il Quaderno di Zanotti, autore del “ildiavolononmuoremai.it”, su Argentina, Colombia, Messico, Perù e Venezuela ai tempi del Coronavirus

Come negli specchi deformanti dei vecchi luna-park, ma senza quella perduta allegria, l’America Latina si riflette nella lattiginosa opacità del Coronavirus e stenta a riconoscersi. Ma alla paura di se stessa, dei suoi conflitti, delle carenze e fragilità, si sforza di sovrapporre l’energica volontà dei paesi emergenti, decisi a non lasciarsi travolgere dallo tsunami del Covid-19.

Argentina, Colombia e Perù hanno chiuso le rispettive frontiere terrestri, aeree, marittime e fluviali, ristretto severamente i movimenti interni. L’Argentina è stata la prima a reagire, altri paesi si apprestano a seguirla in queste ore. Non senza polemiche interne e gravi richiami se non vere e proprie censure all’imprevidenza di tanti governi e all’incredulità di tanti cittadini, non solo nel subcontinente.

In Messico, stretto tra i provvedimenti degli Stati Uniti, tardivi ma di forte impatto sui paesi limitrofi, e un Centroamerica che è forse la zona a maggiore rischio nell’intero continente, il presidente Lopez Obrador appare più preoccupato di mantenere in piedi la capacità produttiva del paese in questa oscillante congiuntura, che di circoscrivere la pandemia del Coronavirus. Anche in Cile, che finora ne stato soltanto sfiorato, la maggior parte della popolazione tende a credere che l’allarme lanciato adesso dal governo sia essenzialmente un espediente per impedire le proteste di piazza che da 5 mesi scuotono il paese. Pur criticando il tempo perduto dal presidente Sebastian Piñera, però, la stessa opposizione accetta di rinviare il referendum costituzionale del prossimo 26 aprile. E anche i manifestanti cominciano la ritirata, lentamente e a malincuore.

La pandemia sembra smuovere, in cambio, il tormentato processo politico venezuelano, che da anni gira a vuoto per gli estremismi contrapposti. Da lungo tempo l’emergenza sanitaria causata dal tracollo economico e dalla conseguente penuria di farmaci, strumentazione e personale medico, assedia il paese caraibico. Il suo improvviso e ulteriore (e non si sa quanto drammatico) aggravamento provocato dal Covid-19 ha scosso anche il governo di Caracas, che per farvi fronte sollecita un prestito di mille500 milioni di dollari al Fondo Monetario Internazionale (FMI). Un credito limitato, che comunque implica un rapporto politico con la comunità internazionale. E internamente accredita le voci di una ripresa di dialogo tra governo e opposizione, sebbene non ci sia stato ancora alcun incontro. Si, invece, una pre-intesa per rinviare le elezioni previste per quest’anno e svelenire il clima politico.

La stampa sudamericana, dalla rivista brasiliana Veja al quotidiano argentino Pagina12, al Espectador di Bogotà, pubblica documenti di autorevoli organizzazioni internazionali che sotto forma di ipotesi e/o di previsioni da tempo avvertono praticamente tutti i governi del mondo e con puntuale certezza interloquiscono con le competenti commissioni delle Nazioni Unite sui crescenti rischi di pandemie. Il Global Preparedness Monitoring Board (GPMB) aveva annunciato un “rischio biologico mondiale catastrofico” che potrebbe infine comportare una perdita generalizzata di fiducia nelle istituzioni. A preannunciarlo, secondo gli esperti, sarebbe stato il notevole moltiplicarsi dell’intensità e della frequenza di episodi epidemici tra il 2011 e il 2018, per un totale di 1483 (Sars/Mers, Ebola, Zika, febbre gialla) in ben 172 paesi.

Sebbene diluiti nel tempo, ma con specifici riferimenti alle influenze di natura virale, pronostici analoghi sono stati anticipati anche dal Creating Global Health Risk Framework for Future e raccolti dall’Accademia Nazionale di Medicina degli Stati Uniti. Indagando nelle strutture biologiche dei ceppi virali sembra sia infatti possibile determinare la forza evolutiva di ciascuno di essi e dunque la capacità di mutazione e di adattamento prima che raggiungano un potenziale pandemico. Un risultato che alcuni dei ceppi studiati potrebbero già aver maturato, divenendo pertanto rischi presenti e attuali. “Un mondo a rischio”, è -per l’appunto- il titolo del volume di 48 pagine diffuso l’anno scorso dal GPMB.

Quello delle previsioni è tuttavia un punto non tanto controverso quanto di valore relativo. Nel senso che si tratta di studi scientifici seri, realizzati da specialisti più che accreditati. Ma pur sempre di carattere probabilistico, basato cioè su calcoli statistici proiettati in una visione ipotetica. Un lavoro assimilabile a quello degli stati maggiori militari di tutto il mondo, i quali ipotizzano continuamente possibilità reali di guerra e ne sviluppano i diversi esiti. Anch’essi sulla ineludibile base del rapporto costi-ricavi, sia umani sia materiali. E’ poi il potere politico a decidere cosa fare e cosa non fare. Nelle culture oggi dominanti, anche in quelle meno mercantiliste e più sensibili invece ai valori dell’essere umano in quanto tale, la preoccupazione per la crescita materiale dell’economia prevale spesso su quella diretta alla difesa delle popolazioni, del loro stato di salute.

Livio Zanotti

ildiavolononmuoremai.it

Back To Top