Il Moscow Times ha scritto che quasi 16.000 cittadini russi sono stati incarcerati per aver protestato contro l’invasione militare dell’Ucraina. Può darsi che la cifra sia sottostimata o sovrastimata, ma che migliaia di persone siano in galera per avere espresso il loro dissenso è fuori discussione.
I parenti e i tanti amici delle persone in carcere forse speravano che Massimo Giletti (volato domenica a Mosca per il programma sulla 7 di Urbano Cairo) avrebbe chiesto alle autorità russe notizie sulle condizioni delle vittime della repressione poliziesca.
O quanto meno che Giletti avrebbe espresso una parola di solidarietà, non dico ad Alexei Navalny ma almeno ai dissidenti arrestati per le strade di Mosca, immagini che tutto il mondo ha visto in televisione prima che entrasse in vigore la censura totale.
In altri tempi, Marco Pannella avrebbe fatto un lunghissimo sciopero della fame per ottenere la loro liberazione. Pretendere questo dal conduttore di “Non è l’Arena” sarebbe troppo, ma in un appello umanitario in nome della libertà di espressione ci speravo.
L’immagine di Giletti che invoca la libertà di stampa dinanzi al Cremlino avrebbe fatto il giro del mondo nonostante la censura? Difficile rispondere, ma certo il palcoscenico era straordinario; per un giornalista un’occasione unica da non perdere per fare notizia.
Quanto meno il viaggio a Mosca sarebbe servito a qualcosa che non fosse propaganda. Purtroppo Giletti non era in forma e nel corso della trasmissione non è riuscito a mettere in difficoltà neppure una volta Maria Zakharova, la portavoce di Lavrov.
È stata una Intervista decisamente non riuscita, se persino un giornalista moderato come Alessandro Sallusti ha scelto di andarsene e di rinunciare al compenso.
L’aspetto paradossale – che meriterebbe di essere approfondito da un’inchiesta giornalistica – è che ieri i media italiani invece di mettere nel mirino il comizio propagandistico di Maria Zakharova abbiano messo sul banco degli imputati il Copasir. Lo hanno fatto sulla base di indiscrezioni infondate su una sua indagine inesistente (fare indagini non è nelle sue funzioni, né peraltro avrebbe gli strumenti per farle).
Ieri il presidente Adolfo Urso ha chiarito in primo luogo che non spetta al Copasir compiere questo genere di operazioni e addirittura che solo ieri – dopo il can can dei giornali – è pervenuta al Comitato una relazione classificata del governo su come la potente macchina della disinformazione russa si è mossa e si sta muovendo in Italia.
Tuttavia, spostare i riflettori sul Copasir e su presunte liste di proscrizione si è rivelato un ottimo strumento per distrarre l’attenzione del pubblico dalla Russia e dall’aggressività del regime di Putin.
La deception è la prima regola della disinformazione. In questo caso sembra proprio un’operazione riuscita. La fonte che ha voluto far filtrare una lista redatta dal Copasir di presunti fan “putiniani” ha fatto bene il suo mestiere.
Per l’opinione pubblica, la potente macchina della disinformazione russa viene così assolutamente ridimensionata (ridotta ad un manipolo di persone un po’ ingenue, ma in buona fede e/o al massimo di qualche personaggio minore in cerca di marchette).
È una versione di comodo che serve a nascondere (e assolvere) l’intreccio complesso tra responsabilità dei politici e quelle degli editori quando entrano in campo interessi opachi verso la Russia (o verso la Cina).
Così le violenze di Bucha, i crimini di guerra e i bombardamenti a tappeto delle città ucraine passano in secondo piano e il Copasir diventa il bersaglio di comodo.
Ma, come se non bastasse, nella tarda serata di ieri la Pravda in russo e in inglese rilancia in tutto il mondo l’intervento di Marco Travaglio, che su La 7 annuncia una presunta vittoria della Russia in Ucraina.
Vedremo nelle prossime settimane se Giuseppe Conte e Matteo Salvini faranno davvero il gioco di Mosca, bloccando gli aiuti militari italiani al popolo ucraino che combatte per difendere la propria libertà.
Non lo sappiamo ancora: potrebbe essere una riedizione della politica estera del governo giallo-verde molto sbilanciata verso Mosca e Pechino.
Può darsi, invece, che sia solo un bluff di due leader in difficoltà nei rispettivi partiti che sperano di recuperare qualche voto “pacifista” alle imminenti elezioni amministrative del 12 giugno. In tutti i casi, le ombre russe e cinesi incrinano le leadership di Conte e Salvini e rendono le loro posizioni assai vulnerabili.