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Ecco le contraddizioni della strategia di Trump e Vance per la sicurezza nazionale

Il documento sulla strategia americana per la sicurezza nazionale non è solo controverso: è contradditorio. L'analisi di Polillo

È stato Mario Monti, con il suo intervento su Il Corriere della sera, a sottolineare una delle principali contraddizioni della “Strategia” americana “per la sicurezza nazionale”. Contraddizioni, per la verità, facilmente individuabili anche da parte di coloro che avrebbero dovuto leggere l’intero documento, invece di soffermarsi solo sulle sulle frasi più altisonanti.

Nel capitolo dedicato ai sacri principi della politica estera americana, al tempo di Donald Trump, una delle affermazioni più forti riguarda proprio la non interferenza. “Vogliamo preservare l’ineguagliabile “soft power” degli Stati Uniti, – si sostiene nel documento – “nel farlo… saremo rispettosi delle diverse religioni, culture e sistemi di governo degli altri Paesi”. Cerchiamo, infatti, “buone relazioni e relazioni commerciali pacifiche con le nazioni del mondo, senza imporre loro cambiamenti democratici o sociali che si discostino ampiamente dalle loro tradizioni e storie.”

Del resto questo era un principio antico risalente addirittura ai Padri fondatori, i quali (ancora il documento) ”stabilirono una chiara preferenza per il non interventismo negli affari delle altre nazioni e ne chiarirono le basi: proprio come tutti gli esseri umani possiedono uguali diritti naturali dati da Dio, tutte le nazioni hanno diritto, in base alle “leggi della natura e quelle di Dio”, a una “posizione separata e uguale” l’una rispetto all’altra.

Sulla base di questi principi si affermava: “vogliamo sostenere i nostri alleati nel preservare la libertà e la sicurezza dell’Europa, ripristinando al contempo la fiducia in se stessa e la sua identità occidentale”. Pur condannando “le incursioni delle organizzazioni transnazionali più invadenti che ne minano la sovranità”; protendendo per una loro “riforma” al fine di promuovere una loro maggiore assistenza in difesa della “sovranità individuale” e promozione degli “interessi americani”

Ancora più avanti, parlando della situazione del Medio Oriente, non si risparmiavano critiche agli errori passati e si dichiarava di voler “abbandonare l’esperimento maldestro dell’America nel costringere queste nazioni – in particolare le monarchie del Golfo – ad abbandonare le loro tradizioni e le loro forme storiche di governo”. Occorreva, pertanto porre fine “all’esperimento maldestro dell’America di costringere queste nazioni – in particolare le monarchie del Golfo – ad abbandonare le loro tradizioni e le loro forme storiche di governo.” Dal momento che la chiave per “relazioni di successo con il Medio Oriente è accettare la regione, i suoi leader e le sue nazioni così come sono, lavorando insieme su aree di interesse comune”. Un pentimento seppure ardivo per l’intervento in Iraq, contro Saddam Hussein ed in Libia, contro Muʿammar Gheddafi.

Insomma un’America apparentemente matura, capace di imparare dalle lezioni del passato. E fare del non interventismo una rinnovata bandiera. Ma allora come si spiega l’eccezione europea? Quel giudizio senza possibilità di appello nei confronti di un vecchio alleato, che avrà anche dato qualche grattacapo. Ma che nel complesso non ha mai fatto dubitare della sua fedeltà atlantica.

L’analisi del documento parte da un dato parziale: “l’Europa continentale ha perso quote del PIL globale, passando dal 25% nel 1990 al 14% di oggi”. Anche se cosi non sembra essere. Secondo il Fondo monetario, il continente europeo sarebbe passato dal 30 al 21%. Ma gli Stati Uniti dal 22 al 15%. Una differenza di 2 punti (-9 contro meno -7), in 34 anni, è tale da giustificare il pericolo della “scomparsa di una civiltà”, come ipotizzato nel documento?

Pericolo determinato dalla presenza “dell’Unione Europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà politica e la sovranità, le politiche migratorie che stanno trasformando il continente e creando conflitti, la censura della libertà di parola e la repressione dell’opposizione politica, il crollo dei tassi di natalità e la perdita delle identità nazionali e della fiducia in sé stessi”. Come si vede, un gran minestrone: in cui problemi reali, come quelli relativi all’immigrazione irregolare o della denatalità, si sommano a teoremi sulle mancanze di libertà e repressioni dell’opposizione politica. Che com’è noto in Europa non avrebbe (sic!) diritto di parola.

La cosa è più sorprendente se si considera da che pulpito viene la predica. Siamo di fronte al più forte e democratico Stato federale del mondo. La cui unità nazionale è stata il frutto della prima guerra moderna subita dall’umanità. Con le migliaia di morti prodotti dalle prime armi di distruzione di massa: triste preludio della Prima guerra mondiale. L’Europa, invece, sta cercando, nella pace, la propria strada verso l’unità del Continente. Che fu anche obiettivo dei patrioti americani all’indomani di Yalta. Il piano Marshall e la nascita della Nato miravano appunto a creare una forza capace di resistere alla pressione dell’armata rossa e del mondo comunista. E per farlo doveva unirsi.

Come si giustifica, allora, il ripensamento non tanto di Donald Trump, quanto del suo vice JD Vance, il più accanito demolitore della UE? Si immagini, solo per un istante, cosa succederebbe se Raffaele Fitto, o Teresa Ribera, entrambi vice-presidenti della Commissione europea, invitassero la California o la Virginia ad abbandonare gli States per costituirsi in entità autonome? Sarebbe non solo la cosa più urticante che potrebbe accadere, ma quella più idiota.

Stando ai dati pubblicati da Stephen Miran, economista principe di Donald Trump, il peso dell’economia americana dal 1960 al 2012 si sarebbe dimezzato: da 40 al 21%. A tutto vantaggio della Cina e degli altri Paesi asiatici. Secondo gli ultimi dati del Fondo monetario il peso specifico di Stati Uniti ed Europa, nel loro complesso, è pari al 36%. Una forza ancora tale da garantire all’Occidente una sua reale egemonia, secondo quella corrente di pensiero che da Charles Kindleberger, grazie alle opere di Robert Kehone e Robert Gilpin – tutti autori americani – è giunta fino ai nostri giorni.

Donald Trump, invece, stando alla sua nuova Strategia per la sicurezza, sembrerebbe aver scelto un mezzo suicidio, affidandosi alla benevolenza di Putin. Spera che soddisfacendo i suoi appetiti in terra Ucraina, lo Zar possa rinunciare all’”amicizia senza limiti” con Xi Jinping. Se non fossimo direttamente coinvolti in questo scellerato progetto, ci limiteremmo a fargli gli auguri. Immaginandone, nonostante una qualche suggestione (ISPI del 10 febbraio 2025), lo scarso realismo.

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