Il giorno dopo la secca sconfitta ai referendum, rimasti sotto di ben 20 punti rispetto al quorum, il cosiddetto campo largo è agitato dal caso cittadinanza. Con tanto di ulteriori liti, stavolta tra il promotore del quesito, Riccardo Magi di +Europa, e il leader pentastellato Giuseppe Conte, che aveva dato su questo libertà di coscienza.
Che quell’inaspettato quasi 35 per cento di no al dimezzamento dei tempi per ottenere la cittadinanza fosse anche di elettori di centrosinistra lo si era già intuito. Ma ieri a ufficializzare il dato, destinato a mettere impietosamente sotto i riflettori il fatto che gli stessi elettori si ribellano all’assenza da parte dei leader di sinistra di proposte sui temi della sicurezza e di controllo dell’immigrazione, è stato l’Istituto Cattaneo.
Secondo le rilevazioni, nelle grandi città ha votato no al dimezzamento dei tempi per la cittadinanza una quota tra il 55 e il 63 per cento degli elettori dei Cinque Stelle e una quota tra il 15 e il 20 per cento di elettori del Pd. Un dato vistoso con il quale Conte ora punterà a rimettere in pista la sua leadership nel “campo largo”. E, al tempo stesso, un dato destinato ad accendere ancora di più lo scontro tra la linea della segretaria Elly Schlein, tesa a minimizzare la sconfitta, e i riformisti dem. Anche se ora sarà molto più difficile riproporre la formula secondo la quale a votare sono andati più elettori di quelli avuti alle politiche dal centrodestra. Perché tra quegli elettori ora è certificato che vengono conteggiati anche quelli che si sono ribellati da sinistra all’ulteriore allargamento della politica dell’accoglienza e anche quella quota minima di elettori di destra che si è recata alle urne. Che “alla propaganda c’è un limite”, lo aveva sottolineato ieri in una intervista al “Qn”, il costituzionalista e ex deputato dem, Stefano Ceccanti, invitando a una seria riflessione sulla sconfitta.
Ieri ci sono stati distinguo nella stessa maggioranza, uscita rafforzata dal clamoroso flop referendario della sinistra. Antonio Tajani ha rilanciato la proposta di FI sullo ius scholae che non trova d’accordo la Lega di Matteo Salvini, così come FI è contraria al terzo mandato voluto dalla Lega e al quale ora ha aperto FdI. Distinguo anche sulle tasse: FI per la riduzione Irpef mentre Salvini ripropone l’urgenza della pace fiscale, con la rottamazione delle cartelle esattoriali.
Sfumature diverse anche in vista evidentemente al prossimo importante turno di Regionali in autunno, sulle quali comunque il centrodestra è obbligato a trovare la “quadra”, anche dopo la sconfitta di Genova. Ma i distinguo nel centrodestra che non è un partito unico, ma una coalizione plurale, sono imparagonabili con il ko che il “campo largo”, che voleva dare la spallata al governo, si è autoprovocato.
Tra musi lunghi e silenzi a sinistra è ripresa a circolare la paura di un Meloni bis per la prossima legislatura, con l’incubo per le opposizioni che nel 2029 possa essere eletto per la prima volta dopo tantissimi anni un Capo dello Stato non più proveniente dal centrosinistra.