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Giorgetti

Conte quando segherà il governo Draghi?

Parole e pensieri di Conte su Draghi dopo la scissione di Di Maio. I Graffi di Damato

 

Incalzato da Lilli Gruber nello studio televisivo di Otto e mezzo, della 7, Giuseppe Conte non ce l’ha proprio fatta ad assicurare che continuerà a fare partecipare il suo movimento, o quel che ne rimane dopo la scissione di Luigi Di Maio, al governo Draghi sino alla fine della legislatura. “Rimarremo – ha detto – sino a quando sarà possibile difendere gli interessi degli italiani”, evidentemente meglio e più di quanto vorranno o potranno fare gli ormai ex grillini che hanno seguito il ministro degli Esteri per sostenere più convintamente e a lungo il presidente del Consiglio. Che Di Maio ritiene esposto al rischio di abbandono o di indebolimento da parte di un movimento 5 Stelle tentato dal “disallineamento” dalla Nato e dall’Europa sul tema della guerra in Ucraina.

Incurante della contraddizione in cui cadeva, Conte da una parte è tornato a denunciare come una menzogna e una provocazione questo sospetto avanzato da Di Maio già nei giorni scorsi, mentre circolavano bozze e voci su un documento dei parlamentari grillini dichiaratamente contrari all’invio di altre armi all’Ucraina, ma dall’altra ha contestato il concetto di “allineamento”. Che, secondo lui, presuppone un ruolo passivo dell’Italia, che non promuove né detta ma si allinea, appunto, agli indirizzi e alle scelte dettate da altri sia nella Nato sia in Europa. E per altri -va da sè- dovrebbe intendersi soprattutto il presidente americano Joe Biden.

Ma se vi è stato un presidente del Consiglio in Italia negli ultimi anni allineatissimo, prima ancora di Draghi, ad un presidente degli Stati Uniti, è stato proprio Conte, quando però alla Casa Bianca c’era Donald Trump. Che lo chiamava “Giuseppi”, ne sponsorizzò nel 2019 la conferma a Palazzo Chigi e gli mandò in Italia politici e funzionari dei servizi segreti sulle tracce di presunte congiure internazionali ai suoi danni. Evidentemente per l’ex presidente del Consiglio c’è un atlantismo buono e uno cattivo, o meno buono, a seconda del presidente di turno degli Stati Uniti. E’ un atlantismo cattivo -si deve presumere – quello di Mario Draghi sposato in pieno da Di Maio, che è stato appena rappresentato sarcasticamente sul Fatto Quotidiano in una vignetta come “puro tonno atlantico”.

Nella situazione non facile in cui obiettivamente si trova con una sessantina di parlamentari che lo hanno abbandonato, non permettendogli più di vantarsi di rappresentare la maggioranza relativa del Parlamento, passata ora alla Lega, Conte tiene a garantire in ogni salotto televisivo dove corre che ha sentito Beppe Grillo e gode del suo appoggio. Ma altri hanno notizie diverse, suffragate dalla rinuncia del comico genovese alla trasferta romana annunciata per oggi prima della scissione. Alla Repubblica risulta addirittura, con tanto di titolo di apertura di prima pagina, un “processo a Grillo” fra quanti sono rimasti nel movimento e avrebbero voluto vederlo più impegnato a trattenere Di Maio o ad insultarlo. Invece il “garante”, l’”elevato” e altro ancora diffonde messaggi sulfurei dal suo blog personale, come l’esaltazione della “terapia della luce del sole” o, per ultimo, l’arte di “annusare l’identità”.

A Conte pertanto non resterebbe altro che “la solitudine” nel suo “bunker”raccontata dal Foglio, interrotta solo da telefonate “ai big” per chiedere: “Te ne vai anche tu?”. Ma, a dire il vero, il presidente del movimento ha raccontato di averne ricevuta almeno una di consolazione: quella di un parlamentare sardo compreso in una prima lista di scissionisti ma pentitosi di notte e affrettatosi a comunicargli il ritorno.

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