Persino il Papa, il più autorevole e famoso gesuita vivente, è finito in qualche modo coinvolto nello scontro con Giuseppe Conte costato a Beppe Grillo la cancellazione, il licenziamento ed altro, secondo i titoli dei giornali, da garante. La cui figura non sopravviverà né a vita, come aveva voluto aggiudicarsela il fondatore del MoVimento 5 Stelle, né a termine. All’annuncio del risultato di questa votazione digitale fra gli iscritti si è levato dall’assemblea costituente non un applauso ma un boato. Non ne è rimasto infastidito l’ex presidente del Consiglio, ma l’ex presidente della Camera Roberto Fico sì, sino a biasimarlo pubblicamente, come per prendere le distanze dal clima in cui si è consumato il parricidio, come molti avevano già definito nelle scorse settimane il declassamento programmato del fondatore.
Che c’entra il Papa? mi chiederete. Ce l’ha fatto entrare metaforicamente proprio Grillo reagendo a distanza alla sua sconfitta con la contrapposizione, in suo messaggio elettronico, tra i “francescani” da lui onorati facendo nascere il movimento un 4 ottobre, festa appunto di San Francesco d’Assisi, e i “gesuiti” che sarebbero quelli riconosciutisi di più in Conte. Che pure è notoriamente nipote di un frate francescano e devoto del francescano più famoso e venerato dopo San Francesco, che è Padre Pio.
Lo stesso Papa Bergoglio, il gesuita massimo, ha voluto peraltro chiamarsi Francesco salendo sul trono di Pietro. E come francescano d’adozione si potrebbe sentire a disagio in compagnia pur virtuale degli esagitati di un movimento politico. Per quanto il gesuita d’adozione Conte gli abbia assegnato il compito di “cambiare la società” francescanamente, diciamo così, anche a costo di “sporcarsi le mani” – ha detto – alleandosi con partiti a dir poco difficili, se non indigesti, come il Pd di Elly Schlein. Dal quale il presidente delle 5 Stelle ha voluto distinguersi definendo “indipendenti”, come aveva consigliato Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, “i progressisti” nel cui campo ha voluto collocarsi da “coriaceo”. Così gli ha riconosciuto dall’interno proprio del Pd Goffredo Bettini: il grande suggeritore e orgoglioso “funzionario di partito”, alla voce “professione” delle sue schede biografiche.
Fu proprio Bettini nel 2020, con l’allora segretario del Nazareno Nicola Zingaretti, a promuovere l’ancora presidente del Consiglio Conte al “punto di riferimento più alto dei progressisti”, non potendone prevedere il punto più basso nel quale il MoVimento 5 Stelle sarebbe caduto elettoralmente solo quattro anni dopo: 9,9 per cento dei voti nelle elezioni europee del giugno scorso e 3,6 una settimana fa nelle elezioni regionali di Emilia-Romagna. Dove il Pd è salito al 43 per cento riducendo – volente o nolente – a cespugli, tra le loro preoccupazioni, i pentastellati pur non gravati più dal limite grillinissimo dei due mandati elettivi, anch’esso caduto nelle urne costituenti.