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Conte dalle stelle alle stalle?

Tutti gli effetti delle elezioni amministrative sui vertici dei partiti. Il taccuino di Federico Guiglia

 

L’esito delle elezioni in quasi mille Comuni ribalta gli equilibri politici del voto nazionale nel 2018. Se in Parlamento il M5S e la Lega rappresentano insieme e da soli il 50 per cento dei consensi espressi dagli italiani 4 anni fa, il risultato di domenica è solo la conferma del lento, ma continuo declino. A destra Giorgia Meloni ha sorpassato Matteo Salvini persino nelle città dove la Lega era forte.

A sinistra Enrico Letta consolida il suo ruolo di colonna portante del “campo largo” da lui evocato, e in cui la presenza grillina si rivela poco influente. Se ieri i partiti primeggianti erano il M5S e la Lega, oggi lo sono il Pd e Fdi: e domani, cioè nella primavera 2023, arriverà il voto politico. Secondo Salvini sarà quello l’appuntamento per decidere, in base ai voti ricevuti da ciascun partito, chi guiderà il centrodestra. Lui minimizza, constata, come i suoi alleati, che “uniti si vince” col pensiero rivolto alle divisioni del centrodestra a Verona.

Ma l’antagonista Meloni lancia la sfida: “Noi forza trainante”. Di Salvini non ha pagato la strategia per una Lega di lotta e di governo, in barba alla partecipazione all’esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Ministri e governatori leghisti non amano tale politica ondivaga e declamatoria. Come da ultimo testimoniano le polemiche sul presunto viaggio di Salvini a Mosca “per la pace in Ucraina”. O la stessa promozione -con i radicali- di 5 referendum sulla giustizia che hanno toccato il minimo storico dell’interesse dei cittadini. Un fallimento e tanti errori che si rispecchiano nella costante discesa dei consensi e nella contestuale ascesa di Meloni (con Berlusconi nei panni inevitabili del mediatore).

Analoghi problemi sull’altro versante, dove Conte ammette d’essere deluso per i magri risultati del M5S. Ma anche qui è la sua politica ad essere messa sott’accusa: troppi occhiolini al grillismo delle origini e troppa distanza dal ruolo istituzionale di Di Maio e di quanti sostengono il governo. Conte non ha digerito Draghi, e si vede. Intanto, Renzi e Calenda sperano di trovare spazi tra i Poli in cambiamento. Anche se la terza via esce battuta dal voto comunale, che ha riproposto nuove versioni di bipolarismo. E che non intacca la tenuta del governo in carica, l’ultimo della legislatura.

(Pubblicato su Bresciaoggi)

www.federicoguiglia.com

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