Negli ultimi anni il conflitto tra Israele e l’Iran si è intensificato, sia direttamente che attraverso proxy regionali come Hezbollah e Hamas. L’eliminazione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, da parte delle forze israeliane il 27 settembre 2024, ha rappresentato un evento di grande rilevanza, aprendo nuovi scenari geopolitici e portando a interrogarsi sul futuro della regione. Questo episodio, tuttavia, non è che una fase in un conflitto di più ampio respiro, dove le vittorie militari immediate non determinano necessariamente una svolta definitiva.
La lotta tra Israele e l’Iran si inserisce in una guerra asimmetrica, dove gli attori non sono impegnati solo sul campo di battaglia, ma anche sul piano ideologico e politico. Israele, forte delle sue capacità militari e tecnologiche, ha ottenuto successi importanti, come l’infiltrazione nelle reti di comunicazione di Hezbollah, e ha dimostrato la sua superiorità tattica e d’intelligence. Tuttavia, l’Iran e i suoi alleati non si affidano alla sola forza militare per resistere: la loro dottrina si basa su una “pazienza strategica” che si ispira ai principi della tradizione sciita, secondo cui la lotta, più che il risultato finale, è il vero obiettivo.
Israele: una strategia militare complessa
Negli ultimi anni, la strategia militare israeliana ha dovuto adattarsi a una realtà regionale sempre più complessa. Dal punto di vista di Tel Aviv, l’Iran rappresenta una minaccia esistenziale, soprattutto a causa del supporto che Teheran fornisce a gruppi come Hezbollah in Libano e Hamas nella Striscia di Gaza. La politica di Israele ha mirato a ridurre l’influenza iraniana in Medio Oriente, attaccando le sue reti e colpendo duramente i suoi alleati.
L’operazione che ha portato all’eliminazione di Nasrallah è stata una dimostrazione delle capacità tecnologiche di Israele, che è riuscita a penetrare le comunicazioni interne di Hezbollah, basate su tecnologie rudimentali risalenti agli anni ’90. Questo attacco, che ha colpito numerosi leader del gruppo, è stato il culmine di una lunga preparazione da parte dell’intelligence israeliana. Per Tel Aviv, questa eliminazione rappresenta un grande successo militare, ma solleva anche domande sulla sostenibilità a lungo termine della strategia israeliana. Nonostante il duro colpo subito da Hezbollah, il movimento ha dimostrato una notevole capacità di resilienza negli anni e la sua rete rimane solida.
Teheran: la pazienza strategica come arma
Da parte sua, l’Iran ha adottato un approccio diverso. La sua strategia si fonda su una visione a lungo termine, caratterizzata da quella che è spesso definita “pazienza strategica”. In altre parole, Teheran non cerca vittorie immediate, ma piuttosto mira a mantenere la sua influenza regionale attraverso il sostegno a gruppi come Hezbollah, Hamas e le milizie sciite in Iraq. Questi gruppi fungono da proxy, portando avanti la lotta contro Israele e i suoi alleati, mentre l’Iran resta in gran parte dietro le quinte, evitando di esporsi direttamente al conflitto.
Uno degli aspetti più significativi della strategia iraniana è il suo legame con l’ideologia religiosa sciita. Il concetto di martirio e il sacrificio personale sono centrali nella visione iraniana della guerra. Questo approccio è stato consolidato durante la guerra Iran-Iraq negli anni ’80, quando l’Iran ha resistito a un conflitto devastante senza mai arrendersi, mostrando una determinazione che ancora oggi caratterizza la sua politica estera. Nel contesto della guerra asimmetrica, l’Iran non cerca necessariamente di vincere ogni battaglia, ma di mantenere viva la lotta per i suoi ideali. In questo senso, la morte sul campo di battaglia, come quella di Nasrallah, non è vista come una sconfitta, ma come un martirio che rafforza ulteriormente la legittimità della causa.
La reazione iraniana all’eliminazione di Nasrallah è stata attentamente calibrata. Dopo un iniziale silenzio, Teheran ha lanciato una rappresaglia simbolica, con il lancio di 181 missili balistici contro obiettivi israeliani da diverse città iraniane. Tuttavia, questo attacco non ha segnato un’escalation diretta, in linea con l’approccio iraniano che preferisce evitare una guerra aperta con Israele, concentrandosi invece su operazioni indirette e sulla costruzione di alleanze regionali attraverso l'”Asse della Resistenza”.
La guerra asimmetrica: un gioco a lungo termine
Il conflitto tra Israele e Iran non si riduce a una semplice rivalità militare. Entrambi i paesi stanno giocando una partita geopolitica complessa, in cui le operazioni militari sono solo uno degli strumenti utilizzati. Israele ha chiaramente dimostrato la sua superiorità tecnologica, ma la sua debolezza risiede nella difficoltà di costruire una strategia politica coerente che accompagni i suoi successi militari. L’assenza di una chiara strategia politica per affrontare la questione palestinese, così come le relazioni con i paesi arabi vicini, continua a limitare l’influenza di Israele nella regione.
Dall’altro lato, l’Iran sta cercando di mantenere la sua influenza attraverso la costruzione di una rete di alleanze regionali che gli permettano di proiettare potenza senza impegnarsi direttamente in conflitti aperti. Questo approccio, spesso definito “deep state”, prevede il rafforzamento di gruppi armati locali che condividono l’ideologia iraniana, creando così un’ampia base di supporto tra le popolazioni sciite della regione.
Uno degli esempi più significativi di questa strategia è il ruolo di Hezbollah, che negli anni ha ampliato la sua influenza non solo in Libano, ma anche in Siria e in altre aree del Medio Oriente. Hezbollah ha dimostrato di essere non solo un gruppo armato, ma anche un attore politico capace di influenzare le dinamiche regionali. L’Iran ha rafforzato questo modello in altri paesi, come l’Iraq e lo Yemen, sostenendo gruppi locali e fornendo loro assistenza militare e logistica.
Le conseguenze geopolitiche della resistenza iraniana
L’eliminazione di Nasrallah rappresenta senza dubbio una vittoria simbolica per Israele, ma non mette fine alla presenza iraniana in Libano o alla capacità di Hezbollah di operare come forza militare e politica. La struttura di comando del gruppo è stata danneggiata, ma la sua ideologia e il suo sostegno popolare rimangono forti. In questo contesto, la strategia israeliana di colpire i leader delle milizie potrebbe non essere sufficiente per erodere completamente l’influenza iraniana.
L’Iran, da parte sua, continua a mantenere una forte presenza in Medio Oriente grazie alla sua capacità di adattarsi e di sostenere le sue alleanze nel tempo. Nonostante le difficoltà economiche dovute alle sanzioni internazionali, Teheran ha investito significativamente nello sviluppo di capacità militari e nella creazione di una rete di alleanze che le permette di affrontare le sfide regionali.
Conclusioni: quello tra Israele e Iran è un conflitto destinato a durare?
Il conflitto tra Tel Aviv e Teheran appare destinato a protrarsi nel tempo. Mentre Israele continua a ottenere vittorie sul piano militare, l’Iran mantiene una resistenza ideologica e politica che lo rende un avversario difficile da sconfiggere definitivamente. La guerra asimmetrica che si sta giocando in Medio Oriente non ha un vincitore chiaro: ogni successo militare da una parte porta a una riorganizzazione strategica dall’altra.
La capacità dell’Iran di mantenere la sua influenza attraverso la pazienza strategica e il supporto ai suoi alleati proxy rimane un fattore cruciale per la stabilità regionale. Al tempo stesso, Israele continua a fare affidamento sulla sua superiorità tecnologica e militare per difendersi dalle minacce esterne. Tuttavia, come dimostra la storia, nessuna guerra può essere vinta solo con la forza delle armi: sarà necessario trovare una soluzione politica a lungo termine che tenga conto delle complesse dinamiche regionali.
La domanda centrale rimane: riusciranno Israele e Iran a trovare un equilibrio che eviti un’escalation del conflitto, o questo scontro continuerà a definire il panorama geopolitico del Medio Oriente per molti anni a venire?