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Arnese

Confindustria statalizzata, azzurrini No Cav e i giochetti delle tre carte del Recovery sulle grandi opere

Fatti, nomi, numeri, curiosità e polemiche. I tweet di Michele Arnese, direttore di Start, su Recovery e non solo

 

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL SOLE 24 ORE SU RECOVERY FUND E GRANDI OPERE

La ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, ha confermato quello che già risultava da una interpretazione delle bozze del Recovery Plan e che nelle ultime ore circolava con molta insistenza fra gli addetti ai lavori: l’ingresso delle grandi opere strategiche già in corso di realizzazione (Av Napoli-Bari, Terzo valico, Brescia-Padova, Catania-Messina-Palermo solo per fare alcuni esempi) nel piano che il governo dovrebbe presentare a Bruxelles equivale a dire che per i cantieri i 23,6 miliardi di fondi europei sono in gran parte sostitutivi – e non aggiuntivi – di quelli già esistenti nazionali.

De Micheli conferma, ma aggiunge alcune informazioni che danno un quadro solo parzialmente diverso. «I fondi del Recovery Plan – dice De Micheli – saranno sostitutivi e non aggiuntivi nel primo triennio perché serviranno a sostituire debito già esistente con un debito che ha un costo più basso. I fondi saranno aggiuntivi, invece, nella fase pluriennale». Questo dovrebbe significare che i fondi saranno aggiuntivi nel secondo triennio (dal 2024 al 2026) dell’orizzonte temporale del Recovery Plan, che, come è noto, impone la spesa di tutti i fondi entro il 2026. E che potrebbero risultare tutti aggiuntivi a fine periodo, se i fondi nazionali “liberati” dal sopraggiunto Recovery Fund resteranno a finanziare opere pubbliche e non finiranno a finanziare altre poste di investimento (privato o pubblico) o addirittura spesa corrente. Una garanzia più politica che formale perché questo genere di impegni e destinazione di risorse nazionali “liberate” potrà essere formalizzato in via definitiva solo con le leggi di bilancio dei prossimi anni. E comunque con le leggi di bilancio potrebbero sempre essere destinate altrove.

Stando alle parole di De Micheli, alle infrastrutture dovrebbero essere destinate, almeno nel primo triennio, prevalentemente i prestiti del Recovery Fund (che per l’Italia valgono 126 miliardi) e non le sovvenzioni a fondo perduto.

«Le sovvenzioni del Rrf (65,5 mld.) – ricorda la bozza del Recovery Plan a pagina 103 – saranno prevalentemente utilizzate per il finanziamento di investimenti additivi rispetto all’evoluzione prevista degli investimenti pubblici a legislazione vigente (tendenziale) e per il sostegno agli investimenti privati. Per i prestiti si ipotizza che una quota venga utilizzata per iniziative additive (40 mld.) e che la restante parte venga utilizzata per il finanziamento di investimenti e di altre misure che sarebbero altrimenti state supportate da risorse nazionali». Proprio quest’ultimo sembra il caso delle grandi opere strategiche in corso.

La configurazione del Pnrr illustrata dal documento, inoltre, «ipotizza che circa il 60% dei fondi NGEU additivi sia destinato al finanziamento di investimenti pubblici, ossia, spese in conto capitale a carico delle amministrazioni pubbliche. La parte rimanente verrebbe destinata principalmente a incentivi alle imprese e riduzione dei contributi fiscali sul lavoro, e in misura limitata a spesa pubblica corrente e trasferimenti alle famiglie».

È ancora presto, quindi, per dire quale sarà l’assetto definitivo della distribuzione dei fondi del Recovery. Si può però aggiungere, in attesa di avere cifre ufficiali e anche un elenco stabile dei progetti infrastrutturali finanziati con RP, che l’investimento ancora mancante nelle grandi opere strategiche ferroviarie e stradali in corso di realizzazione ammonta a circa 21 miliardi. Se questo conto fosse confermato, l’effetto sostituzione nella prima fase sarebbe pressoché totale, considerando che alle infrastrutture ferroviarie e stradali la bozza di Recovery Plan nazionale destina per ora 23,6 miliardi.

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