È sempre una forzatura voler giudicare gli atti di un Papa alla stregua di quelli di un presidente della Repubblica o di un monarca. Così come intravedere un “programma di governo” nelle iniziative che promuove. Specie quando esse sono inattese, come il concistoro straordinario che Leone XIV ha convocato per il 7 e 8 gennaio 2026 a Roma.
Ma la laica tentazione di scoprire quale sia la “politica del Papa” sull’onda dell’annunciato evento a cui parteciperanno tutti i 245 cardinali dei cinque continenti, non è priva di fondamento.
Il Vaticano è lo Stato più piccolo del pianeta. Eppure, è un punto di riferimento per quasi un miliardo e mezzo di credenti. Ha un capo di Stato, appunto il Papa, che detiene i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario quasi da moderno sovrano eletto dai suoi pari per grazia di Dio, secondo il giuramento che essi pronunciano al momento del conclave.
Dunque, anche il successore di Pietro e massima guida spirituale della Chiesa cattolica, apostolica e romana ha una sua visione delle cose e una sua strategia. Il concistoro in arrivo aiuterà a meglio individuarle.
Ancora non si conoscono i temi previsti. E il mistero rafforza la curiosità per l’appuntamento che farà il punto su dove andrà la Chiesa dopo sei mesi dall’elezione, l’8 maggio, di Papa Leone.
Già il convocare un concistoro è un segnale: Leone conferma l’attitudine subito dimostrata di non voler essere un uomo solo e solitario al comando. Vuole ascoltare e vuole poi decidere.
Nel semestre non sono mancati anche altri segnali importanti.
Il successore dell’amato Francesco ha fatto valere con discrezione la sua personalità, rilanciando la questione del nostro tempo -come ritrovare la pace in un mondo di guerre e di odio- e puntando a superare le divisioni nella Chiesa. Divisioni interne, aprendo le porte di San Pietro per consentire di celebrare una messa in latino dopo le restrizioni decise dal suo predecessore. Divisioni esterne, come testimoniato dallo storico incontro a Roma con Re Carlo III, capo della Chiesa anglicana frutto dello scisma di 500 anni fa.
Hanno pregato insieme: l’irrisolvibile si risolve col confronto. Messaggio che per lui vale anche per l’Ucraina e per Gaza.
Un Papa né conservatore né progressista. Ma ai conservatori e ai progressisti ha teso la mano nell’interesse di ricucire l’unità della Chiesa. Perché per lui una Chiesa più forte e consapevole può meglio interpretare il cammino di missione e di misericordia nel mondo, guardando sempre agli ultimi.
Lo statunitense Prevost dall’intensa esperienza in America latina non ha mostrato, al pari dell’argentino Francesco, complessi di sorta per i potenti della Terra. Neppure per quello del suo Paese natale.
Nessuna titubanza neanche nell’indossare gli abiti della millenaria tradizione papale, a differenza di Francesco. Dimostrando, Papa Leone, di voler rappresentare la fede talvolta in continuità, altre in diversità.
I primi sei mesi raccontano che il discreto Prevost in realtà abbia le idee molte chiare. E forse per questo ha convocato il suo primo concistoro.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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