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Erdogan

Con Erdogan una Turchia più lontana dall’Europa e più vicina ai Paesi del Golfo. Parla Mariano Giustino

Erdogan ancora saldamente al potere in Turchia. Conversazione con Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia, sulle prossime mosse, in politica interna ed estera, del presidente Erdogan 

 

Erdogan era stato dato per vinto, dopo 20 anni di potere, prima della tornata elettorale di metà maggio, ed è uscito vittorioso dal ballottaggio di fine maggio. In poco più di 15 giorni Recep Tayyip Erdogan ha saputo plasmare la propria immagine, invertendola: da leader consunto, a uomo di potere esperto, consumato ma vitale. Erdogan si è imposto con il 52% delle preferenze sull’opposizione che era riuscita a riunire sei partiti nel nome di Kemal Kilicdaroglu, economista e leader del Partito Popolare Repubblicano, che non è riuscito ad andare oltre il ballottaggio.

Della Turchia e del futuro delle sue relazioni internazionali ne abbiamo parlato con Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia.

Erdogan ha vinto ma come si può valutare il risultato dell’opposizione? Come ha fatto Kemal Kilicdaroglu a costringere Erdogan al ballottaggio?

Per più di un anno l’opposizione ha cercato di siglare un accordo per formare un fronte quanto più largo possibile per sconfiggere il presidente turco alle elezioni presidenziali. Ma è una storia che arriva da lontano. Alle elezioni comunali del 2019, Erdogan fu sconfitto, nei maggiori centri urbani del paese, dalla coalizione formata dal Partito repubblicano del popolo di Kemal Kilicdaroglu e dal Partito di destra conservatrice nazionalista MHP. Si unirono questi due partiti, con la desistenza, del Partito democratico dei popoli, partito filo curdo, che non presentò candidati lì dove erano candidati, nei grandi centri urbani, i candidati del Partito repubblicano del popolo.

Questa strategia ha funzionato molto bene perché a questa coalizione di due partiti si è unito il voto curdo, che nei centri urbani, per esempio quello di Istanbul, rappresenta poco più di due milioni di persone. E questa coalizione è riuscita a sconfiggere Erdogan che ha perso per varie ragioni. Per ragioni economiche, l’economia non sta andando bene, da diversi anni ormai, per via della dottrina “erdoganiana” di bassi tassi di interesse, una politica espansiva e non austera, strada che la Turchia dovrebbe preferire, per cercare di frenare l’inflazione, dare più fiducia agli investitori, ai mercati e attrarre denaro nelle casse dello Stato che sono state sempre più impoverite in questi ultimi anni. Il successo del 2019 ha indotto l’opposizione a provare ad allargare lo schieramento chi si contrappone a Erdogan.

Per la prima volta da quando è iniziata la fase del multipartitismo, cioè dal 1950, l’opposizione si è presentata tutta unita, ma veramente tutta unita, con i sei partiti più l’appoggio esterno del partito filo curdo di sinistra radicale, per sconfiggere Erdogan e su obiettivi ben precisi, sostanziali.

Quali sono questi obiettivi?

Il ritorno a un sistema al sistema parlamentare rafforzato e quindi superare il sistema presidenziale dell’uomo solo al comando, ripristinare lo Stato di diritto, il rispetto delle convenzioni internazionali, della Convenzione europea si diritti dell’uomo e quindi l’applicazione delle sentenze CEDU per creare un ritorno al dialogo con l’Unione europea e anche con Washington, per quanto riguarda i dossier internazionali. E poi il fattore economico e l’immigrazione. In Turchia tutti sono d’accordo sul fatto che gli immigrati debbano tornare nei loro paesi di origine. Io non ho visto una novità, semmai un’accentuazione propagandistica degli slogan sull’immigrazione nel secondo turno. Serviva per non regalare tutto il voto anti immigrati e nazionalista a Erdogan.

A tutto questo Kilicdaroglu ha aggiunto una nuova retorica, la nuova strategia comunicativa dell’amore radicale. Una retorica inclusiva che supera la polarizzante adottata dal presidente turco perchè quella turca è una società particolarmente polarizzata, divisa lungo linee fratture etniche, religiose e ideologiche. Chi ha seguito la campagna elettorale ha visto Kilicdaroglu e anche gli altri leader dell’opposizione fare il simbolo del cuore con la mano. Non era un cuore rivolto ai propri sostenitori ma rivolto al paese. Come a dire “Adesso deve vincere l’amore”, in contrapposizione alla retorica divisiva criminalizzante usata presidente turco, nei confronti non solo di Kilicdaroglu ma di tutta l’opposizione, accostandola alle organizzazioni terroristiche. L’altro dato importante è che si è assistito nel primo turno a una campagna elettorale nella quale, accanto agli argomenti economici, hanno avuto spazio anche i diritti civili. Tanto è vero che lo slogan più usato durante i comizi, dalla popolazione è stato “Diritto, Legge, Giustizia”.

Nel 2023 si celebra il centenario della Repubblica turca e quali sono secondo lei i dossier più importanti che attendono la Turchia?

La questione più importante è quella economica. L’economia turca è drammaticamente disastrata. Ha bisogno di afflussi di capitali, di liquidità e questo può arrivare solo se si adotta una politica economica che tranquillizza i mercati, che non sia espansiva, che non metta la Banca centrale sotto il controllo del Presidente della Repubblica. A questo aggiungo anche il miglioramento dello Stato di diritto e dei diritti umani perché anche questo tranquillizza i mercati e dà fiducia agli investitori. Senza di questo Erdogan è costretto sempre più a far ricorso al contante che gli arriva dalla Russia, dai Paesi del Golfo e da altri paesi. Ricordiamo che a salvare la Banca centrale prima delle elezioni sono state le aperture di linee di swap con il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, la Corea del Sud, sono stati i depositi dell’Arabia Saudita dall’Azerbaijan, dalla Libia, che ammontano a 36 miliardi di dollari.

Quali sono i rischi connessi all’avvicinamento, in termini di dipendenza economica, della Turchia ai Paesi del Golfo?

Comporta rischi notevoli. Innanzitutto, una interdipendenza più stretta con i paesi mediorientali e con la Russia che non è proprio che non è proprio il massimo per la Turchia e un allontanamento dal blocco occidentale. Più stretti rapporti con Mosca, che è sotto sanzione occidentale, comporta anche un maggiore rischio per la Turchia di essere a sua volta sottoposta a sanzioni da Washington, per esempio, ma anche dall’Unione europea. Questo è un rischio a livello non solo interno ma internazionale. Erdogan non dorme sogni tranquilli. Io dico soprattutto per l’economia. L’economia turca è stata mantenuta in piedi artificialmente proprio per la campagna elettorale con la cosiddetta spesa elettorale. Il leader turco ha aumentato gli stipendi statali del 75%, ha aumentato il salario minimo del 55%, ha aumentato i sussidi sui carburanti, sull’elettricità, sul gas, ha abbassato l’età pensionabile per gli oltre due milioni e mezzo di persone.

Come farà a fare fronte a tutte queste spese?

Probabilmente procederà ad un’ulteriore svalutazione della lira e questo non farà altro che creare ulteriore sfiducia nei mercati. Tutto ci fa pensare che lui pensa di avere denaro liquido dagli Emirati Arabi, dal Qatar. E allora la situazione si complica moltissimo.

Secondo lei questo sarà l’ultimo mandato per Erdogan?

Se la Costituzione non verrà cambiata, e non penso che succederà perché non ha la maggioranza assoluta, molto probabilmente sarà l’ultimo mandato presidenziale, non potrà più ricandidarsi. Questo comporta che all’interno anche del suo partito riprenda la faida per la successione. Quindi se da un lato Erdogan si è assicurato altri cinque anni, dall’altro avrà comunque problemi.

L’opposizione, adesso che ha perso anche questa battaglia, resterà unita o si sfalderà?

Se Kemal Kilicdaroglu abbandona la vedo difficile. Quest’uomo è una persona straordinaria per l’opposizione, perché ha operato un percorso rivoluzionario per un partito che fino a poco fa era su posizioni molto anacronistiche, chiuse, reazionarie, nazionaliste. Quindi o resisterà o si scatenerà anche all’interno del Partito repubblicano del popolo una faida interna. Questa è l’incognita sull’opposizione.

Cosa ci possiamo aspettare in materia di relazioni della Turchia con l’Unione europea e con l’Italia?

Ma con l’Italia non cambierà niente, nel senso che con l’Italia c’è un’ottima cooperazione economica e commerciale, all’Italia interessa solo quella. Si continuerà a sviluppare questa amicizia, è importante anche strategicamente. Con l’Unione Europea c’è il rischio è che si arrivi sempre più a un rapporto di tipo transazionale, cioè una relazione basata su interessi reciproci da difendere. L’Unione europea è interessata alla questione della migrazione e della sicurezza, coltiverà questo con Erdogan e nulla di più. E quindi sostanzialmente non cambierà nemmeno molto. Temo che andranno ad acuirsi alcune questioni che non state risolte e che sono ancora molto critiche.

A cosa si riferisce?

Mi riferisco al rapporto con Cipro, al rapporto con la Grecia e alla questione del Mediterraneo orientale per quanto riguarda l’Europa. E poi c’è il discorso dell’Ucraina. Se la Turchia continua a rappresentare la porta aperta per i mercati russi, favorendo la Russia nell’aggiornamento delle sanzioni questo comporterà un maggiore rischio di allontanamento dal blocco occidentale, quindi dall’Unione europea e dagli Stati Uniti. Io non vedo cambiamenti positivi, d’altra parte temo che Erdogan, dopo questa ennesima vittoria, diventi ancora più arrogante, ancora più sicuro di essere l’uomo solo al comando e prosegua nel violare regolamenti, leggi nazionali o internazionali.

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