Il 16 luglio la Commissione europea ha pubblicato la sua attesissima proposta per il prossimo Quadro finanziario pluriennale, che copre gli anni dal 2028 al 2034. Parte integrante del piano era un pacchetto rivisto di risorse proprie. “L’Unione richiede un impegno finanziario collettivo che non può essere sostenuto solo dai contributi nazionali”, sottolineava la Commissione nella sua comunicazione. “L’introduzione di nuove risorse proprie ridurrà l’onere per gli Stati membri e garantirà un finanziamento sostenibile delle politiche comuni dell’UE, mantenendo nel complesso stabili i contributi nazionali”.
Quattro mesi dopo, questo si è rivelato un sogno irrealizzabile. Nessuna delle cinque proposte di risorse proprie presentate dalla Commissione gode del necessario sostegno unanime in Consiglio.
LE CINQUE PROPOSTE DELLA COMMISSIONE
Le cinque proposte sono facilmente riassumibili. La prima è un “adeguamento mirato” delle entrate generate dal sistema di scambio delle emissioni (ETS) destinate al bilancio dell’UE. La Commissione vuole trattenere il 30 per cento di questi permessi di inquinamento monetizzati. La parte principale continuerebbe a fluire nei bilanci nazionali degli Stati membri. Così, 9,6 miliardi di euro l’anno dovrebbero essere destinati al bilancio europeo.
La seconda nuova risorsa propria sarebbe un altro “adeguamento mirato”, questa volta delle entrate derivanti dal nuovo meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM). La Commissione vorrebbe trattenerle integralmente, prevedendo di generare 1,4 miliardi di euro l’anno.
La terza sarebbe basata sui rifiuti elettronici non raccolti. A tal fine si applicherebbe un’aliquota uniforme al peso di tali rifiuti. La Commissione spera così di ottenere in media 15 miliardi di euro all’anno.
La quarta nuova risorsa propria sarebbe un’accisa sul tabacco, “basata sull’applicazione di un’aliquota sul livello minimo di accisa specifico per Stato membro applicato ai prodotti del tabacco”, come spiegato nella comunicazione della Commissionee. Dovrebbe portare in media 11,2 miliardi di euro all’anno nel bilancio dell’UE.
La quinta e ultima risorsa propria viene addirittura accompagnata da un acronimo: “CORE”, ovvero Corporate Resource for Europe. Si tratterebbe di un contributo annuale forfettario da parte delle grandi aziende (con un fatturato annuo netto di almeno 100 milioni di euro). L’idea è nata sotto l’ex commissario al Bilancio Johannes Hahn, che la giustificò affermando che le aziende europee erano state sostenute durante la pandemia di Covid-19 grazie a fondi pubblici e al supporto dell’UE, e che ora dovrebbero ricambiare il favore. Secondo la Commissione, questa tassa sulle imprese frutterebbe 6,8 miliardi di euro l’anno.
Il totale arriva alla discreta somma di 44 miliardi di euro l’anno. Che non inciderebbero in modo particolarmente significativo sulle regolari esigenze di finanziamento dell’UE. Basti ricordare che la Commissione vorrebbe quasi raddoppiare il quadro di bilancio settennale a 2.000 miliardi di euro. Questo significa circa 286 miliardi di euro l’anno, in media. Sulla base delle cifre presentate a luglio, l’UE coprirebbe solo il 15 per cento delle proprie spese attraverso entrate non dipendenti dall’annuale braccio di ferro tra Consiglio e Parlamento europeo.
MANCA L’UNANIMITÀ
Ma anche questo risultato modesto, al momento, è solo una piia illusione. Neppure all’interno della Commissione si crede che gli Stati membri siano disposti a dare il via libera. “Al momento non c’è unanimità su nulla di tutto ciò”, ha detto un diplomatico nazionale al Mattinale Europeo. Il nuovo prelievo sulle imprese è già morto, ha aggiunto il diplomatico: “CORE non ci sarà. La Germania è fermamente contraria”. E non è l’unico Stato membro a rifiutare l’introduzione di nuovi oneri sulle aziende, che l’UE sta disperatamente cercando di liberare da burocrazia e costi amministrativi.
Un diplomatico di un altro Stato membro ha assegnato il seguente punteggio su una scala da 1 a 10 (1 = completamente senza speranza, 10 = facciamo scorrere gli €€€):
CBAM = 7, ETS = 6, rifiuti elettronici = 4, tabacco = 3, CORE = meno 10.
LE STIME DELLA COMMISSIONE SONO TROPPO OTTIMISTICHE?
I critici sottolineano anche che le stime della Commissione sono troppo ottimistiche. I proventi dell’ETS, l’accisa sul tabacco, il CBAM e il contributo sui rifiuti elettronici sono, in sostanza, tasse comportamentali. Sono pensate per cambiare il comportamento di persone e imprese. Se l’industria europea emette meno CO₂, avrà bisogno di meno permessi di emissione. Una domanda inferiore significa prezzi più bassi nell’ETS. Se non raccogliere rifiuti elettronici ha un costo, più rifiuti saranno raccolti, riducendo l’entità del gettito. E così via.
A tutto questo si aggiungono complicazioni procedurali. Qualsiasi accordo (unanime) su nuove risorse proprie richiederebbe non solo il via libera di Consiglio e Parlamento, ma anche la ratifica nei Parlamenti dei 27 Stati membri. Di solito, questo può richiedere fino a due anni e mezzo. Il nuovo QFP inizia nel 2028. Fate i conti: il tempo sta scadendo rapidamente.
I TEMPI
E il tempo scorre ancora più velocemente per il fatto che l’accordo sul QFP (e quindi su eventuali nuove risorse proprie) dovrebbe arrivare prima che la Francia entri nella sua frenesia elettorale del 2027. Ogni interlocutore con cui il Mattinale Europeo ha discusso della questione ha menzionato la consapevolezza che i negoziati sul bilancio dell’UE debbano concludersi prima che i francesi eleggano un nuovo presidente e un nuovo Parlamento — con ogni probabilità non saranno particolarmente filo-europei.
Questo lascia gli Stati membri in una situazione paradossale: si lamentano di dover pagare troppo per l’appartenenza all’UE, ma rifiutano di ridurre questo onere permettendo all’Unione di autofinanziarsi. Non è un buon presagio per qualsiasi tentativo di mettere sotto controllo i giganti digitali della Silicon Valley e della Cina, e creare un flusso stabile di entrate per il bilancio dell’UE attraverso una tassa sui servizi digitali (qualcosa che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen esita persino a menzionare, per timore di suscitare l’ira del presidente statunitense Donald Trump).
Ma finché lo slogan “Non un centesimo in più delle nostre tasse per Bruxelles” continuerà a portare dividendi nelle elezioni nazionali, gli Stati membri preferiranno convivere con questo dilemma.
(Estratto dal Mattinale europeo)



