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Blue Economy

Come Usa, Cina e Germania si muovono sul porto di Trieste

Le mosse diplomatiche e dei servizi su Trieste. Il post di Nicola Biondo tratto dal suo blog   Quanto ha pesato politicamente lo studio Alpa durante la stagione di Giuseppe Conte? C’è una storia, priva di risvolti giudiziari, che merita di essere raccontata. Una storia di diplomazia parallela nella quale spuntano lo studio dove l’ex-presidente…

 

Quanto ha pesato politicamente lo studio Alpa durante la stagione di Giuseppe Conte? C’è una storia, priva di risvolti giudiziari, che merita di essere raccontata. Una storia di diplomazia parallela nella quale spuntano lo studio dove l’ex-presidente si è affermato professionalmente e l’avvocato Luca Di Donna oggi indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite.

La trama di questa diplomazia parallela va rintracciata a Trieste nella tarda primavera del 2020 quando l’Anac — l’autorità anti-corruzione — depone il numero uno del porto giuliano Zeno D’Agostino.

D’Agostino chiama a sua difesa la studio Alpa. Mossa legale e legittima ma molto politica perché, come è noto, chiamare Alpa significava chiamare l’uomo che in quel momento sussurrava all’avvocato del Popolo saldamente a Palazzo Chigi e con un indice di gradimento ai massimi storici.

Mossa che innesca una crisi diplomatica che qui proviamo a raccontare.

Ufficialmente D’Agostino era stato ritenuto “colpevole” di conflitto di interessi, da qui la decisione dell’Anac di rimuoverlo.

In realtà quello stop è un tassello della lunga battaglia tra l’espansionismo cinese e l’Occidente. E racconta della virata filo-cinese che i governi Conte hanno impresso nel triennio ‘18-’20.

D’Agostino manager capace e stimato, da sinistra a destra, era fino alla sua rimozione era l’uomo dell’accordo di ferro con il colosso statale di Pechino CCCC per la creazione di piattaforme logistico/distributive collegate ai terminal. Il porto di Trieste sarebbe diventato l’hub principale della Via della Seta, l’arma politico-commerciale dell’espansionismo di Pechino. D’Agostino era l’interprete perfetto della nuova alleanza geo-politica che la Lega a Cinquestelle aveva messo in campo non appena arrivati nella stanza dei bottoni.

L’accordo era di portata storica: Trieste sarebbe diventata la principale porta d’oriente nel cuore d’Europa, D’Agostino appariva l’uomo giusto nell’epoca giusta, Conte l’uomo che aveva fondato questa Ost-politik 2.0 forte dell’appoggio vaticano, della sua vecchia amicizia con il cardinale Achille Silvestrini e soprattutto con il suo erede il cardinale Parolin: tutti desiderosi di aprire alla Cina. Il set di questa visione fu Villa Nazareth, sorta di college vaticano ma in realtà la vera Farnesina vaticana.

Dietro l’accordo c’era chi vedeva una cessione di sovranità ad un regime totalitario, una scelta precisa del governo giallo-verde.

Trieste diventò così ufficialmente un problema di sicurezza nazionale. Non solo per l’Italia ma anche per la Nato e gli Usa.

L’accordo con i cinesi andava fermato. Su Trieste, e in particolare sul porto, l’attenzione delle intelligence erano fortissime da tempo. Altrettanto noto era il crescente fastidio degli americani. Nessuno però si sarebbe aspettato che a far precipitare tutto sarebbe arrivato un esposto anonimo contro D’Agostino: da qui il procedimento e poi la rimozione avvenuta nel giugno 2020. Fin qui la politica. Ma passiamo agli affari.

I contatti tra D’Agostino e lo studio Alpa furono dettati non solo da una scelta professionale ma eminentemente politica.

Chiamare in soccorso Alpa significava palesare fortissime connessione governative, andare alla matrice di chi aveva deciso la svolta filo-cinese. Non solo: a Trieste c’è chi sostiene che il contatto fu mediato proprio da Luca Di Donna. L’avvocato infatti entrerà nel collegio di difesa di D’Agostino che contro l’allontanamento ricorse al Tar.

Ciò che fece saltare sulla sedia l’intelligence italiana, ma anche quella a stelle e strisce, furono una serie di foto. D’Agostino convocò una manifestazione dopo il siluramento a cui parteciparono centinaia di persone, una scena in stile “fronte del porto”. In mezzo alla folla apparvero alcune bandiere della Repubblica Popolare. Trieste, uno dei baluardi occidentali durante e dopo la guerra fredda, stava entrando nell’orbita cinese: questa fu la lettura dell’intelligence italiana e americana.

La propaganda di Pechino si scatenò: sia a livello diplomatico che mediatico. Ciò avveniva negli stessi mesi in cui Palazzo Chigi affidava la video-sorveglianza del suo perimetro e dei suoi ingressi ad una ditta cinese e si sperticava in lodi per gli aiuti, la maggior parte dei quali (ventilatori e mascherine) farlocchi, provenienti da Pechino. Tutti atti finiti nei dossier dell’intelligence d’oltreoceano e al Copasir.

Alla fine Zeno D’Agostino è stato reintegrato al porto di Trieste, appena un mese dopo il suo allontanamento: lo studio Alpa e quello Di Donna vinsero la battaglia al Tar. Che però segnalò come il conflitto di interessi non era una tesi campata in aria. Nel settembre 2020 il colosso cinese finì nella black list degli Usa, la “Entity List”. Era una chiaro segnale: Pechino non deve entrare a Trieste. La via della Seta si fermò.

Bloccato l’accordo con i cinesi al loro posto a Trieste sono arrivati i tedeschi di Hhla. Che proprio dallo scorso mese di settembre hanno come socio di minoranza Cosco, un colosso della logistica made in China. Come dicono alcuni vecchi lupi di mare triestini, “sanno proprio di soia, questi wurstel”.

Hhla, tutto sulla società pubblica tedesca che controllerà il porto di Trieste

(Estratto di un post pubblicato sul blog di Nicola Biondo)

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