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Come si muove (e si agita) la sinistra alle regionali dell’Umbria

Che cosa succede nella maggioranza giallorossa che sostiene il governo Conte 2 in vista del voto alle regionali in Umbria il 27 ottobre. I Graffi di Damato

Com’era sin troppo facile immaginare, quella sedia lasciata vuota da Matteo Renzi a Narni ha fatto più notizia, e impressione, delle altre occupate nella manifestazione conclusiva della campagna elettorale in Umbria dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, da Di Maio in rappresentanza ancòra del Movimento delle 5 Stelle, da Nicola Zingaretti come segretario del Pd e da Roberto Speranza per conto della sinistra radicale di Pier Luigi Bersani e Massino D’Alema, che sono riusciti a portarlo all’ultimo momento alla guida del ministero della Sanità. Il cui solo nome – Sanità – evoca peraltro guai politici in Umbria, dove l’amministrazione di sinistra è stata travolta da uno scandalo maturato fra ospedali, aziende sanitarie, assessorati e segreteria regionale del Pd.

La sedia vuota di Renzi – indicativa del ruolo “distinto e distante”, avrebbe detto la buonanima di Francesco Cossiga, assunto dall’ex segretario del Pd nella maggioranza giallorossa un attimo dopo averla fatta nascere mettendosi in proprio con la sua Italia Viva – non è stata certamente soppressa dalla foto successiva, che ha ripreso in piedi, anziché seduti, Conte, Di Maio, Zingaretti e Speranza attorno al candidato “civico” alla guida della regione, Bianconi: Vincenzo, come lo ha familiarmente chiamato il presidente del Consiglio.

Per quanto declassata dallo stesso Conte, per numero di elettori, alle dimensioni di una provincia, in particolare quella di Lecce, e rifiutata quindi come test per le sorti o per la sola valutazione del suo secondo governo, e relativa maggioranza, l’Umbria che uscirà dalle elezioni non passerà come acqua, nel bene o nel male, sull’esperienza anche personale del presidente del Consiglio, rimasto al suo posto, dopo la crisi agostana provocata dalla Lega di Matteo Salvini, fra il plauso e l’incoraggiamento addirittura del presidente americano Donald Trump con quel suo “Giuseppi” finito all’attenzione del Copasir. Che è l’acronimo del comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, e per il controllo sui servizi segreti, finito a sua volta per effetto proprio della crisi e del cambiamento della maggioranza sotto la presidenza del leghista Raffaele Volpi. Da cui francamente Conte non può attendersi un aiuto alla confusione che ha mostrato di desiderare, dopo una lunga audizione, fra il Russiagate di Trump e quello di Matteo Salvini, almeno per ora nelle mani solo della Procura di Milano. Dove si sta indagando sulle trattative intercettate in un albergo di Mosca fra il leghista Gianluca Savoini e altri su un affare petrolifero svanito poi per strada, da cui si presume che dovesse derivare un finanziamento al Carroccio.

Sui possibili effetti delle elezioni umbre, con cui si torna peraltro all’orario solare da quello legale che ha segnato la crisi del governo gialloverde e l’avvento di quello giallorosso, non credo che si sia fatto prendere troppo la mano dalla fantasia il direttore del Foglio Claudio Cerasa scrivendo di “un’operazione Mario Draghi”. Che potrebbe scattare in caso di sconfitta di quello che il capo della delegazione governativa del Pd Dario Franceschini è appena tornato a definire ottimisticamente sulla Stampa “il primo passo” di un cammino “insieme in tutte le regioni”.

Ora che è finalmente libero dai suoi impegni a Francoforte come presidente della Banca Centrale Europea, il povero Draghi è entrato quasi di prepotenza, ma suo malgrado, nei retroscena della politica italiana. C’è già chi lo immagina, magari spinto proprio da Renzi per la sua richiesta di un “presidente europeista della Repubblica”, candidato al Quirinale quando scadrà, fra più di due anni, il mandato di Sergio Mattarella. Cui pure durante la crisi agostana sembrava essere stata adombrata la conferma da piddini e grillini se ne avesse in qualche modo favorito l’accordo di governo. Cerasa invece si è limitato ad immaginare Draghi, senza tuttavia compromettere -credo- la tappa finale del Colle più alto di Roma, come un possibile successore di Conte a Palazzo Chigi se la maggioranza giallorossa dovesse uscire ammaccata dal voto umbro e da quelli che seguiranno, sempre a livello regionale, nei prossimi mesi. Draghi, sempre secondo Cerasa, potrebbe garantire l’estensione dell’area giallorossa, non memo rissosa e da maschere anti-gas di quella gialloverde, verso il centro con le adesioni che si è proposto di raccogliere Renzi alla sua Italia Viva. Dove è atteso, auspicato e quant’altro l’arrivo di un bel po’ di parlamentari forzisti, anche se nelle ultime ore, a dire il vero, vi è appena arrivata dalla sponda di Pier Luigi Bersani la deputata molisana Giuseppina Occhionero.

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