Ci sarà una forte innovazione nella policy del governo Draghi dopo un periodo di minimizzazione dell’importanza della comunicazione strategica, troppo spesso effettuata attraverso organi non ufficiali e social media. L’intervento di Francesco D’Arrigo, direttore Istituto Italiano di Studi Strategici
La comunicazione è un processo di influenzamento reciproco continuo (Watzlawick, Beavin e Jackson, 1974).
La comunicazione strategica è un termine ombrello per descrivere le attività di discipline che includono le relazioni pubbliche, gli affari internazionali, la sicurezza nazionale, la comunicazione manageriale, la pubblicità. Come tale, definisce la capacità di tutte le organizzazioni – non solo le aziende, ma anche le organizzazioni no-profit e soprattutto i Governi – di impegnarsi in una comunicazione mirata.
La forza di una comunicazione governativa è rappresentata dalla sua enfasi sulla strategia, piuttosto che su argomenti di carattere tattico, per la mera ricerca di consenso (soprattutto di tipo temporaneo come quello ottenuto mediante i sondaggi). Inoltre, la crescente complessità di una società globale e digitale rappresenta un grande ostacolo alla capacità del Governo di impegnarsi in una comunicazione strategica che sia coerente con i suoi obiettivi politici e socio economici a lungo termine.
Il nostro governo inizia così ad adattare la propria comunicazione, non solo alle esigenze interne ma anche alle insidie poste dalle tecnologie del 21° secolo. Anche se è difficile per molti digerire il termine, da diverso tempo siamo coinvolti nella prima info warfare (guerra) della storia – per quanto non convenzionale e irregolare possa essere – in un’era di e-mail, blog, smartphone, Instant Messaging, Internet globale, dark web senza inibizioni, videocamere portatili, dirette streaming, chat cifrate, notiziari 24 ore su 24, comunicazioni satellitari, alla portata di chiunque e non più strumenti di comunicazione esclusivi degli Stati. Non c’è mai stata, prima d’ora, una (info warfare) guerra combattuta in questo ambiente globale. E la difficoltà delle nostre Istituzioni nel comprendere ed affrontare questa situazione è evidente.
Attraverso i sistemi di comunicazione odierni, un governo ostile potrebbe utilizzare una delle piattaforme social globali, per influenzare la nostra percezione su alcuni temi (complottismo, fake news, pandemia, vaccini, ecc.) e perfino le campagne elettorali di paesi democratici, sfruttando le vulnerabilità della nostra cybersecurity, soprattutto quella a tutela della privacy, come la Casa Bianca ha recentemente evidenziato in un ordine esecutivo.
Questo tipo di operazioni sono già state realizzate con successo, varie volte ed utilizzando diverse piattaforme online.
Lo scandalo che ha riguardato Cambridge Analytica nel 2016 si è concentrato sulla sua capacità di sfruttare i social media e i dati personali per influenzare le elezioni, utilizzando le medesime modalità attraverso le quali gli utenti vengono bombardati dai messaggi pubblicitari sui social.
Riveste pertanto una forte innovazione la policy del Governo Draghi, dopo un periodo di minimizzazione dell’importanza della comunicazione strategica, troppo spesso effettuata attraverso organi non ufficiali e social media gestiti da aziende straniere.
La comunicazione per un Governo rappresenta la “diplomazia pubblica” cioè un vero e proprio programma strategico per informare la propria opinione pubblica ed al contempo influenzare quelle di altri paesi, dei mercati e degli investitori.
Una forma di diplomazia completamente diversa da quella svolta dal Ministero degli Affari Esteri tra governi e che viene soventemente tenuta il più possibile riservata, ma certamente uno degli asset del soft power nazionale, elemento essenziale della Grand Strategy del Presidente Draghi.