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Ssn

Come rilanciare il Servizio sanitario nazionale

L'intervento Michele Poerio, Pietro Gonella e Stefano Biasioli

Nel corso di questi ultimi mesi, siamo venuti a conoscenza di parecchie relazioni, elaborate da illustre Fondazioni e da illustri Gruppi di lavoro, per rilanciare le infrastrutture sociali e sanitarie in Italia, anche alla luce della vicenda Covid.

Come Feder.S.P.eV. e come Confedir, abbiamo altresì contribuito ad inviare al Cnel un documento di idee relativo alla riforma del Servizio Sanitario Nazionale (datato 1978), tenuto conto delle criticità emerse durante la recente pandemia.

Del tutto recentemente, siamo venuti – casualmente – in possesso di una bozza di rapporto (“rilanciare le infrastrutture Sociali in Italia”) promosso dalle Fondazioni Astrid e Collegio Carlo Alberto (Compagnia San Paolo), nonché sul rapporto Prodi (2018).

Nel primo rapporto citato, il Gruppo di lavoro sulla Sanità era coordinato dai dottori Pietro Terna e Giuseppe Russo.

Di seguito, riassumiamo le parti essenziali relative alla Sanità, integrate dai nostri autonomi commenti e dalle nostre idee, frutto di un lavoro ultra quarantennale nella Sanità Pubblica.

IL PENSIERO DELLE FEDER.S.P.eV E DELLA CONFEDIR SULLA BOZZA DEL “PIANO STRAORDINARIO PER LE INFRASTRUTTURE SOCIALI IN ITALIA (SANITÀ E RSA)” ELABORATO DALLA FONDAZIONE ASTRID

A. SANITÀ

A.1.  Premessa fondamentale

Il Piano riserva spazi e prospettive alla costruzione di “infrastrutture sociali”, ritenendole determinanti anche per una radicale riforma ed un miglioramento funzionale del sistema sanitario.

La nostra storia personale di Primari Medici, Dirigenti Sanitari prima e di Manager poi, all’interno del mondo sanitario non ci esime, anzi ci obbliga, per onestà intellettuale, a chiarire un concetto basilare per l’organizzazione funzionale di questo settore.

In Sanità le gerarchie dei tre fattori in campo – quale ordine di importanza per il suo efficiente ed efficace funzionamento – sono le seguenti:

risorse umane;
risorse tecnologiche;
risorse edilizie.
Quindi – sulla scorta del nostro vissuto professionale – i “muri” sono sì importanti, ma i primi due fattori sono di gran lunga più importanti del terzo.

A.2.  Meno Ospedali e più Presidi territoriali stand-alone

Medicina ospedaliera
Alla luce di quanto prospettato dal Piano in esame non va ritenuta negativa la proposta riduzione dei posti letto ospedalieri ordinari (con esclusione ovviamente di quelli destinati alle rianimazioni, agli infettivi, alle pneumologie, etc., posti letto che vanno al contrario potenziati in modo significativo così da riportarli agli standard di Francia e Germania), in quanto l’Ospedale del futuro sarà sempre più un Centro Servizi ad alta tecnologia quale necessaria evoluzione del Centro Degenze che ancora oggi lo caratterizza, e ciò per ottenere una elevata dinamicità funzionale contro l’attuale staticità dell’organizzazione ospedaliera.

Il Piano si focalizza su una non più differibile operazione di razionalizzazione e miglioramento del patrimonio immobiliare, così da superare la vetustà degli stabilimenti ospedalieri.

È una proposta giusta e condivisibile, ancorché non dirimente per una Sanità “amica” del cittadino, a motivo del fatto che:

non tiene conto, prescindendone, che in futuro la “farmacogenomica” renderà disponibili farmaci avanzati che offriranno la possibilità di attivare terapie così mirate che consentiranno cure a domicilio o al massimo in strutture protette diffuse sul territorio per monitorarne per qualche ora gli effetti, cure sostitutive di quelle oggi erogate in regime ospedaliero; non conosce/indica la dimensione/cubatura degli “spazi edilizi esistenti”, conoscenza importante perché se ridondanti, come io penso che siano, inducono la consumazione di non indifferenti risorse finanziarie che potrebbero essere più correttamente canalizzate/utilizzate per l’assistenza diretta al cittadino (esempio esplicativo: ipotizzando che siano 80 milioni i metri cubi degli spazi ospedalieri esistenti a fronte dei 60 milioni effettivamente sufficienti=fabbisogno di edilizia ospedaliera, si assisterà al consumo di 600-700 milioni di euro per mantenere “muri”, risorse altrimenti destinabili ad impieghi di diretta assistenza, attesochè ogni mc. costa 30-35 euro/anno per manutenzione, riscaldamento, raffrescamento, pulizia e sanificazione, etc.). Ogni 1.000 mc. in eccesso al fabbisogno consuma 30.000-35.000 euro/anno!

Rispetto allo stock di investimenti ospedalieri fatti nei 24 anni del periodo 1988-2012 ex articolo 20 della L. 20/1988, pari a 950 milioni di euro/anno, gli investimenti simulati dal Piano per il periodo 2019-2045, per assicurare la necessaria disponibilità di posti letto= fabbisogno di edilizia ospedaliera, subiscono un’accelerazione annuale di 1,4 miliardi di euro (1,99 miliardi di euro nei primi dieci anni): si tratta del 47% in più rispetto ai 24 anni precedenti e dello 0,8-0,9 per mille del PIL!).

Il Piano inoltre – non si può non evidenziarlo – presenta una carenza significativa: tratta di investimenti ospedalieri senza tenere conto di una situazione in essere che è variamente articolata e che interessa ruolo e funzioni alquanto diversificate svolte dai complessi ospedalieri esistenti; ci si riferisce al fatto che il Piano dovrebbe attenersi ad una necessaria propedeutica distinzione relativa alla c.d. gerarchizzazione=classificazione degli Ospedali al fine di evitare inutili e dispendiosi doppioni, e ciò per massimizzare il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento del complessivo sistema ospedaliero.

Medicina territoriale
Per quanto attiene alle strutture outpatient, da prevedere e costituire per un bacino di utenza di circa 20.000 abitanti, viene stimata una spesa specialistica totale di 17,6-18,3 miliardi di euro/anno pari al 15,4%-16% della spesa sanitaria pubblica totale.

L’indicazione di simile bacino di utenza, a mio parere, costituisce il primo fondamentale e inevitabile cambiamento del modus operandi, cioè dell’approccio della c.d. nuova Sanità “amica” del cittadino. E ciò in quanto, al di là del nomen juris (“Casa della Comunità” o “Sanità di iniziativa” esperimento della Regione Toscana in essere dal 2010), disporre di 12-15 medici uniti in studi aggregati ubicati in una sede di servizio/struttura territoriale unitaria/unica, con la presenza di 12-15 infermieri, di 6-8 terapisti della riabilitazione e di 3-4 unità amministrative, significa dare finalmente concreta attuazione alla indispensabile “continuità assistenziale”, condizione basilare per contrastare con successo – anche in termini di sostenibilità economica – la sfida dei prossimi decenni: la “Long Term Care” (L.T.C.).

Questo cambiamento induce, con riferimento a 100.000 abitanti, la disponibilità/l’impiego territoriale di un target di risorse adeguato ed organizzato, in grado di operare con le tecnologie più avanzate e connesso in rete con i data base sia delle strutture distrettuali che ospedaliere:

60-75 medici,
60-75 infermieri,
30-40 terapisti della riabilitazione,
15-20 unità amministrative!
Il secondo fondamentale e inevitabile cambiamento è quello di percorrere virtuosamente la strada della “appropriatezza” delle prestazioni (per far sì che il cittadino-utente stia nella struttura – o segua la cura – adeguata in relazione al proprio bisogno sanitario del momento) nonché della “qualità”delle prestazioni (per far sì che gli esiti delle cure e il grado di soddisfazione individuale  siano i più elevati obiettivamente possibili), e ciò al fine di attuare un radicale ed effettivo cambiamento attraverso due passaggi fondamentali:

“fuori” dagli Ospedali le cure delle patologie croniche,
“fuori” dagli Ospedali l’assistenza specialistica ambulatoriale.
Passaggi fondamentali che, per il primo aspetto, troveranno tanto più condizioni realizzative quanto più verranno costituite le strutture oupatient di cui si è detto sopra, e che, per il secondo aspetto, troveranno condizioni realizzative nell’attivazione sia delle stesse strutture outpatient, sia di Poliambulatori Regionali ad alta tecnologia da attivare/costruire nel territorio senza ulteriori indugi con un rapporto di uno ogni 300/400 mila abitanti, dotati di adeguate e necessarie attrezzature medico sanitarie, ivi comprese le grandi attrezzature elettro-medicali quali TAC e RMN, e ciò per allargare ed accrescere le capacità di risposta con l’obiettivo di abbattere le liste di attesa create dall’imbuto delle strutture ospedaliere impegnate, e non potrebbe essere altrimenti, dalla prioritaria esigenza di evadere in primis le prestazioni dovute ai pazienti ricoverati. In questi Poliambulatori, ove sono presenti i medici ospedalieri che vi operano anche in libera professione d’azienda (ALPA), sussiste la garanzia – importanza  fondamentale   ed  irrinunciabile – di qualità e sicurezza delle prestazioni al pari di quanto avviene in ambito ospedaliero.

Il terzo fondamentale e inevitabile cambiamento (terzo non certo in ordine decrescente di importanza, anzi!) riguarda il potenziamento dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), realtà ancora in stato di arretrata attuazione, attesochè tratta mediamente 47 pazienti ogni 1.000 anziani residenti > 65 anni, un target che va aumentato gradualmente sì, ma senza ulteriori tentennamenti ed indugi, verso i livelli assicurati nelle due regioni (Emilia Romagna e Toscana) che esprimono il modello più virtuoso con 101 e 103 casi per 1.000 anziani residenti > 65 anni.

B. RSA

Il Piano, oltre che della Sanità, si occupa anche degli investimenti nel campo dell’assistenza e cura alle persone anziane non autosufficienti.

Negli ultimi 40 anni, in corrispondenza della progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri, sono aumentati – in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione – i posti letto delle strutture extraospedaliere= Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per l’erogazione dell’assistenza sociosanitaria residenziale alle persone non autosufficienti che non possono essere assistite e curate a casa. Questo processo di trasferimento della cura delle patologie non acute in ambiti non ospedalieri è stato ed è corretto sia dal punto di vista clinico-assistenziale, sia dal punto di vista della sostenibilità economica, in quanto – a fronte di un costo ospedaliero medio di 500 euro/die per ricoverato – si è passati ad un costo extraospedaliero medio di 120 euro/die per ospite non autosufficiente (nella Regione Veneto i p.l. ospedalieri nel 1982 erano oltre 48.000, mentre nel 2002 sono circa 18.000, cioè poco più di un terzo! È lapalissiano che i relativi costi – che sono oggi sostenibili – non lo sarebbero più per una dotazione quasi tre volte superiore!).

I posti letto delle RSA in Italia sono 21 ogni 1.000 persone di età superiore a 65 anni, a fronte del target di 50 raccomandato dalla Commissione europea.

La proposta del Piano, in ordine all’adeguamento della copertura media da 21 a 25 posti letto, la si può ritenere corretta pur in una prospettiva di un continuo ed ininterrotto aumento della popolazione anziana, attesochè vi deve e non può non  esserci una corrispondente e parallela crescita=potenziamento dell’Assistenza  Domiciliare  Integrata (ADI), modalità operativa  organizzato-funzionale  governata  dalle strutture  outpatient  da  costituire per bacini di utenza di 20.000 abitanti.

Essendo la gestione delle RSA in mano ai privati per l’80%, il plafond dell’investimento annuo per aumentare lo stock delle stesse viene valutato nell’ordine dello 0,2-0,3 per mille del PIL (un quarto di quello necessario per lo stock di investimenti ospedalieri!). Si tratta di un ordine di grandezza che è affrontabile anche per la situazione di obiettivo vantaggio di poter esperire procedure amministrative più celeri e risolutive, a motivo della disponibilità di risorse finanziarie costituite da capitale privato.

C. SALUTE MENTALE

Il Piano, purtroppo, non riserva spazi e prospettive al problema più spinoso del SSN – la salute mentale – per dare una risposta articolata ed organica alle esigenze delle famiglie che vengono interessate, per non dire stravolte, dalla presenza a volte devastante della malattia, una realtà comunitaria che deve essere affrontata sia in fase adolescenziale che in età adulta:

per l’età adolescenziale sono indispensabili interventi diffusi ed estesi, al fine di evitare/scongiurare che le carenze (preventive, diagnostiche, terapeutiche) di tale fase vengano – come sta avvenendo da tempo, purtroppo nella indifferenza delle istituzioni – travasate nella psichiatria dell’età adulta, con enormi costi sanitari e costi sociali, nel  senso di  non inclusione nel  circuito  produttivo, con conseguente fallimento/inesistenza della dignità individuale umana, economica, sociale, etc.;

per l’età adulta è sempre più impellente l’apprestamento di strutture ospedaliere (SPDC/Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura), e di strutture extraospedaliere (CSM/Centro di Salute Mentale, DHT/Day Hospital Territoriale, CTRP/Comunità Terapeutica Residenziale Protetta, CA/Comunità Alloggio, COD/Centro Occupazionale Diurno, CLG/Centro di Lavoro Guidato) riservando particolare attenzione al pronto intervento/soccorso “psichiatrico”.

Al riguardo occorre assicurare, in un bacino di utenza di 100.000 abitanti, la presenza/disponibilità di una equipe di psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri ed educatori professionali in numero adeguato, equipe organizzata come unità operativa complessa il cui dirigente apicale, responsabile dell’andamento della stessa, deve relazionarsi con i responsabili delle singole strutture outpatient per dare il proprio indispensabile supporto specialistico per la soluzione delle molteplici forme di disagio psichiatrico presenti nei territori specifici.

Concludiamo rappresentando che è sui temi della Salute Mentale e della Non Autosufficienza che viene e verrà misurato il livello di “civiltà” di una comunità nazionale. E l’Italia non può non farsi carico del fatto che è sempre più impellente l’esigenza di una risposta strutturata di natura e carattere “universalistici” da realizzare con l’istituzione del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza (FNNA).

Fin qui, le nostre osservazioni al rapporto Astrid. Non possiamo però concludere questo articolo senza porre una domanda irrituale alla politica italiana: accederemo al Mes sanitario?

Ah, saperlo!

Rompiscatole come siamo, per una volta siamo d’accordo con un membro di questo governo, Giovanni Amendola (ministro per gli affari europei) che ha confidato ai giornali (Repubblica) la sua preoccupazione sulla possibilità di vedere arrivare i fondi europei.

Alla faccia degli ottimisti, oggi il percorso è arduo. Infatti l’erogazione dei fondi presuppone la ratifica, entro l’anno, da parte di tutti gli stati membri, e il voto del parlamento europeo sul nuovo bilancio.

Ma, ad oggi, c’è l’opposizione contraria di 7 stati membri: Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia, Polonia e Ungheria. Per motivazioni diverse tra loro, ma la sostanza è una sola. “No a prestiti gratuiti ad altri Stati”.

La situazione “reale” è complicata. E, allora, se i denari Ue non arrivassero o arrivassero a rate, dopo la metà del 2021, quale proposta, quale progetto concreto metterà in atto il Governo Italiano, per fare ripartire l’economia?

Il Cnel ha suggerito a Conte & C., nei mesi scorsi, alcuni progetti, concreti e fattibili.

Ci permettiamo di aggiungerne, sommessamente uno.

Richiedere subito l’attivazione del Mes sanitario (linea di credito di 37 miliardi circa, con interesse annuale allo 0,11%).

Questi denari servirebbero, senza alcun dubbio.

Con questi chiari di luna europei, consentirebbero non solo di combattere meglio contro il Covid ma anche di ammodernare il Ssn, con evidenti benefici in termine di qualità sanitaria, a favore degli italiani (malati o no che siano) e della quantità/qualità della risposta sanitaria, utilizzando tutte le recenti tecnologie sanitarie e la marea dei “big data”, con quel che segue.

Di questo, siamo certi.

Ma….questo Governo è in grado di dire — rapidamente — sì al Mes sanitario?

Già, è molto più facile continuare a spostare il lockdown all’intero anno 2021.

 

Prof. Michele POERIO – Segretario Generale Confedir e Presidente FEDERSPeV
Dr. Stefano Biasioli, Segretario generale APS Leonida e Past President CONFEDIR
Dr. Pietro Gonella, gia’ Coordinatore dei Direttori Generali ASL Venete

 

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