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Come l’Italia deve muoversi in Europa per evitare un suicidio annunciato. Il commento di Polillo

Riproporre politiche già sperimentate, dai risultati fallimentari, è un suicidio annunciato. Da questa morsa si esce solo se vi sarà la capacità e la cultura di proporre regole che, avendo una base razionale, possono rovesciare un paradigma europeo che nega in radice ogni regola economica. Il commento di Gianfranco Polillo

 

Se anche il mio amico Giuliano Cazzola, cui vogliamo bene e stimiamo, si unisce al coro del politically correct contro la Lega, cadono le braccia. La sua predilezioni per soluzioni immaginifiche (arco costituzionale, Governi tecnici e via dicendo) lasciano sconcerti.

Vi potranno anche essere nel proseguo di questo cammino travagliato, ma non sarà una vittoria della democrazia. La cui etimologia démos (popolo) e krátos (potere) è inequivocabile.

Matteo Salvini sarà pure brutto sporco e cattivo – il Truce secondo il lessico di Giuliano Ferrara – ma è pur sempre il principale rappresentante di questo popolo. Naturalmente si può sempre pensare ad una nuova “parentesi della storia”, come teorizzava Benedetto Croce a proposito del fascismo. Ma si commetterebbe solo un secondo errore.

Il fascismo non fu una parentesi. Nel bene e nel male, cambiò gli assetti più profondi dello Stato italiano. Pose termine all’Italietta liberale di Giovanni Giolitti. Realizzò strutture – dall’IRI al welfare – che sopravvissero al dramma di una guerra decisa in modo improvvido. E continuata ancor peggio.

Alcune innovazioni rimasero anche dopo la Liberazione. Non si comprenderebbe la storia dello stesso PCI, se non si tenessero a mente le novità introdotte dal Regime. Quell’inserimento, seppure passivo delle masse, nella vita politica italiana. In precedenza appannaggio esclusivo di una schiera di notabili.

Se Togliatti rinunciò agli insegnamenti della Terza Internazionale e creò un partito di massa, anziché una centuria di soli quadri, lo si dovette anche a quella passata esperienza. Il tutto per dimostrare, che la storia non fa salti. Si sviluppa lungo il corso di un fiume, anche quando questo ne assume la forma carsica.

Ma c’è una controprova immediata. Cosa hanno fatto finora i gentleman della politica? Ottimi discorsi, mentre l’Italia sprofondava. Hanno accettato, senza discutere, l’amaro calice distillato a Bruxelles. Aumentate le tasse e riducete i consumi: vedrete che, d’incanto, il debito diminuirà. E tutti saranno più felici. Naturalmente non è stato così, ma l’esatto contrario.

C’è voluta l’autocritica postuma di Oliver Blanchard, capo economista del Fmi, sui limiti dell’eccesso di austerity. Ma nemmeno questa è servita per indurre ad un ripensamento generale sulle politiche imposte. Che solo Mario Draghi ha avuto il coraggio ribaltare, con i suoi interventi non convenzionali.

Certo isolarsi dall’Europa, non è una risposta adeguata. Può essere addirittura controproducente. Ma riproporre politiche già sperimentate, dai risultati fallimentari, è un suicidio annunciato. Da questa morsa si esce solo se vi sarà la capacità e la cultura di proporre regole che, avendo una base razionale, possono rovesciare un paradigma che nega in radice ogni regola economica. In ossequio a quel liberalismo libresco, che fu scompaginato dalla crisi del ‘29.

Come se la crisi più recente – quella del 2007 – 2008 – non abbia avuto caratteristiche anche peggiori. Naturalmente non sarà semplice. La Lega, da sola, non può farcela. Come non sono riusciti nell’intento tutte le altre forze politiche italiane: sempre oscillanti tra l’ingiuria parolaia e la successiva acquiescenza. Da questo punto di vista Giuseppe Conte non è un’eccezione.

In Europa bisogna starci. Ma starci capaci di affrontare una discussione a tutto campo. In grado di dimostrare in che modo regole astratte possono piegarsi per la gestione del “legno storto” della realtà. Utilizzando quel grande patrimonio di esperienze e di teorie che ha segnato l’evoluzione del pensiero economico moderno. Che qualcuno vorrebbe ridurre a qualche regoletta di natura contabile. Il talismano della felicità. Se le risorse del mondo politico sono scarse, sono gli intellettuali che devono fare la loro parte.

Ma per incidere devono conservare una visione al di fuori dei luoghi comuni. Distinguere i diversi campi. Una cosa è la ricerca del consenso da parte degli uomini politici. Altro è studiare quelle soluzioni che con quel retroterra risultino coerenti. Una nuova “doppiezza”? Forse, ma grazie a questa tecnica, che non era solo tale, Palmiro Togliatti costruì quel partito che, ancora oggi, sopravvive, nella sua essenza, ai mille terremoti che hanno spazzato via ogni suo vecchio concorrente.

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