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Terre Rare

Come la Cina galoppa sulle terre rare

Perché ci sono tensioni politiche e giuridico-diplomatiche tra Cina, Giappone, Unione europea e Stati Uniti.

 

La Cina estrae il 93% delle terre rare nel mondo e queste costituiscono una componente essenziale nella produzione di beni come telefoni cellulari, batterie, TV LED e altri prodotti tecnologici.

Il Giappone è stato il principale acquirente di terre rare cinesi e le utilizza per vari scopi industriali, in particolare per la produzione di vetro per pannelli solari e per la produzione di motori per auto ibride come la Toyota Prius.

In altri termini, le terre rare sono quindi una risorsa strategica per numerosi settori tecnologici fondamentali sia nell’ambito civile che nell’ambito militare.

Ora, non c’è alcun dubbio che questa situazione di quasi monopolio da parte cinese sia stata fonte – e sia fonte – di ricorrenti tensioni politiche e insieme giuridico-diplomatiche tra la Cina, il Giappone, l’UE e gli Stati Uniti.

Attuando una vera e propria guerra economica sovente la Cina ha limitato le sue quote di esportazione, causando un aumento dei prezzi e la reazione dei paesi occidentali che sono i principali importatori.

Ebbene, la Cina pone in essere una precisa strategia operando su tre scacchiere: la scacchiera competitiva (quote che limitano l’accesso a una risorsa scarsa e fanno aumentare i prezzi), la scacchiera politica (equilibrio di potere con i paesi occidentali e le autorità internazionali come l’UE o il WTO) e la scacchiera sociale (facendo leva sulla tematica ambientale).

Questa capacità di giocare su tre scacchiere limita la capacità di reazione da parte dei players. Allo scopo di illustrare questo modus operandi facciamo degli esempi illuminanti.

Il 7 settembre 2010, il capitano di un peschereccio cinese è stato fermato dalla guardia costiera giapponese, a seguito di una collisione tra le due navi, avvenuta nelle acque giapponesi, nei pressi di un arcipelago rivendicato dalla Cina. Questo piccolo incidente servirà da pretesto alla Cina per testare il suo equilibrio di potere con il Giappone, l’Europa e gli Stati Uniti. A tal fine, la Cina attuerà una strategia comunicativa volutamente contraddittoria per mantenere la confusione sulle sue reali intenzioni. Pochi giorni dopo questo arresto, gli industriali giapponesi riscontrarono casualmente difficoltà nell’approvvigionamento di terre rare. Ebbene, il primo ministro cinese, Wen, chiese di rilasciare il capitano trattenuto, minacciando di intraprendere controffensive adeguate. Nel contempo, un portavoce del governo cinese affermava che non era stato deciso di attuare alcun embargo.

Nell’ottobre successivo, altri produttori, questa volta europei e americani, incontrarono difficoltà nella fornitura di terre rare. L'”embargo” sembrava estendersi ad altri paesi oltre al Giappone che affermavano, come le loro controparti giapponesi, che le dogane cinesi avevano di fatto limitato le esportazioni. Guarda caso tutto ciò accade poche ore dopo che Zhang Guobao, il principale funzionario del settore energetico del paese, aveva reso noto ai giornalisti stranieri lo sdegno del suo paese per la decisione del governo degli Stati Uniti di aprire un’indagine con lo scopo di determinare se la Cina avesse sovvenzionato le sue esportazioni di energia pulita in violazione delle regole di libero scambio dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Tuttavia, altri produttori avevano affermato al contrario di avere ricevuto le forniture necessarie e tutto aveva determinato una vera e propria confusione su quali fossero le reali intenzioni del governo cinese.

A tale proposito, la posizione ufficiale della Cina diventa difficile da definire. Se da un lato il Ministero del Commercio aveva affermato che le informazioni recentemente pubblicate sulla stampa nazionale – che aveva riportato una riduzione del 30% delle quote di esportazione di terre rare – erano totalmente prive di fondamento e che non era stata ancora presa alcuna decisione sulle quote future dall’altro lato il Ministero aveva anche affermato che la Cina avrebbe continuato ad esportare terre rare nel mondo e allo stesso tempo, al fine di preservare le risorse esauribili e mantenere lo sviluppo sostenibile, avrebbe continuato anche a imporre le restrizioni necessarie all’estrazione, alla fabbricazione e all’esportazione di terre rare.
Questa strategia comunicativa ha avuto l’effetto di esercitare pressioni sugli obiettivi, in particolare sul Giappone, ma anche sugli Stati Uniti e sull’Europa.

Il 13 marzo 2012, gli Stati Uniti – supportati dall’Unione Europea e dal Giappone – hanno presentato una denuncia al WTO. Le autorità cinesi hanno reagito con forza: il 15 marzo 2012 il portavoce del Ministero del Commercio, Shen Danyang, ha difeso la posizione cinese ricordando che la politica cinese di controllo delle esportazioni è finalizzata a proteggere le risorse e l’ambiente, raggiungere uno sviluppo sostenibile e che la Cina non ha intenzione di limitare la libertà del commercio internazionale o di proteggere le sue industrie nazionali manipolando il suo commercio estero.

Tuttavia, John Clancy portavoce della Commissione europea, nel 2014 aveva al contrario affermato che: “In linea con le precedenti pronunce relative ad altre materie prime l’OMC ha riscontrato che i dazi e le quote all’esportazione introdotti dalla Cina violavano gli obblighi contratti da tale paese in sede di OMC e non erano giustificati per motivi di protezione o conservazione dell’ambiente“.

Ebbene, allo scopo di superare questa controversia di natura giuridica – oltre che di natura politica ed economica – è stato firmato un accordo in seno all’OMC il 21 maggio 2015.

Tuttavia, a quasi quattro anni da questo accordo la Cina ha continuato a porre in essere la stessa strategia comunicativa nel contesto del suo equilibrio di potere con gli Stati Uniti come ben evidenziato da questo articolo de Le Figaro.

Proprio allo scopo di reagire a questa strategia gli Stati Uniti stanno cercando di superare la dipendenza come indicato in un report del Congresso del 2013 dal titolo :”Il monopolio virtuale della Cina potrebbe diventare una minaccia alla sicurezza nazionale“.

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