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Giovani

Come insegnare la consapevolezza del bene e del male ai giovani

Quelle che un tempo si chiamavano bravate ora assumono toni connotativi sempre più estremi e agghiaccianti ma è necessario non perdere la speranza nei giovani, imparando ad ascoltarli destreggiandosi tra benevolenza e dovere di far rispettare le regole. L’intervento di Francesco Provinciali

 

La cronaca ci propone con accentuazioni sempre più incalzanti episodi in cui i minori sono al centro di contesti di violenza subita o agita. Ci sono padri e madri che scaricano sui figli le proprie frustrazioni esistenziali o più semplicemente la propria immaturità e incapacità genitoriale: l’abbandono fisico e affettivo è forse il caso più ricorrente ma non sono rare situazioni di violenza fisica e sessuale, comportamenti agghiaccianti e innaturali perpetrati su creature in tenerissima età, come quel padre che recentemente ha ammesso di aver scaraventato fuori dalla finestra la figlioletta di 2 anni.

L’esperienza di ascolto consente di conoscere situazioni che vanno dal disagio familiare a contesti promiscui dove un figlio è spesso motivo di disturbo e un ostacolo al delirante abbandono alle pulsioni di egoismo e narcisismo sfrenato degli adulti, oppure viene fatto oggetto di veri e propri atti di abuso, spesso alimentati dalle droghe e dall’alcol, altre volte in assenza di relazioni affettive primarie, di disinteresse o di conflitti di coppia. Quanto tutto questo si ripercuota – nel migliore dei casi – sull’insuccesso formativo e sul fallimento scolastico dei minori lo si deduce dalle segnalazioni che i servizi sociali o gli stessi istituti inoltrano alle autorità giudiziarie minorili a partire dalla scuola dell’infanzia. Dietro ogni caso di abbandono precoce degli studi, di inadempienza all’obbligo o di disagi comportamentali degli alunni ci sono cause che conducono quasi sempre all’inadeguatezza dei contesti familiari di provenienza. Ciò accade anche nelle situazioni in cui i ragazzini e gli adolescenti in genere si rendono essi stessi protagonisti di fatti di violenza feroce e apparentemente inspiegabile: è di questi giorni la vicenda del clochard picchiato selvaggiamente da alcuni minorenni in zona Trastevere a Roma e ripresa da filmati e telecamere. Non è la prima volta che accade, scorrendo le cronache degli ultimi anni ci si rende conto che queste aggressioni sono frequenti, al pari degli atti di bullismo verso i compagni fragili o disabili, senza parlare delle vere e proprie bande che imperversano in azioni di furto, scontri tra fazioni armate di spranghe, coltelli, persino pistole: non si tratta di un fenomeno solo italiano, ci sono zone in America latina dove i minori si rendono protagonisti di sequestri di persona, ratti di bambine, ricatti, racket di usura, furti, omicidi, rispetto a cui le forze dell’ordine sono impotenti e a volte colluse.

Basti citare la ‘Mara Salvatrucha’ e la ‘Mara 18’, due vere gang di giovani teppisti capaci di tutto, a colpi di machete. Una cancrena che si diffonde e si esporta, sommandosi alla microdelinquenza locale.

Ci sono poi episodi in cui i minori si rendono protagonisti di atti di sfida mettendo alla prova se stessi e la propria incolumità: saltare da un balcone, salire su un tetto, sdraiarsi sui binari o attraversarli all’ultimo minuto mentre un treno è in arrivo, utilizzare smartphone e tablet per mettere in rete azioni di minaccia, foto e video a sfondo sessuale, giochi estremi che provocano soffocamento, quelle che un tempo si chiamavano bravate ma che erano caratterizzate da ingenuità di fondo mentre ora assumono toni connotativi sempre più estremi e agghiaccianti.

Gilbert Cesbron aveva scritto sul tema del disagio e delle fragilità minorili un libro eloquente, a cominciare dal titolo – “Cani perduti senza collare” – ambientato nell’immediato dopoguerra. Temi, come si vede, ricorrenti con diverse carature in epoche di agiatezza ovvero di crisi: resta la soccombenza della condizione minorile, delle vittime, dei carnefici e – nel tempo – della loro imperscrutabile intercambiabilità. Si tratta di un problema generazionale che si ripete, probabilmente il più doloroso e difficile per l’intera società a cui risulta arduo trovare soluzione scegliendo tra comprensione dei contesti di vita e severità del giudizio, sia che riguardi la responsabilità genitoriale o le colpe dei minori stessi. La figura del giudice minorile Julien Lamy – che sta sullo sfondo delle vicende narrate da Cesbron – riassume anche con valenza attuale l’atteggiamento più efficace: la capacità di ascoltare, conoscere, spiegare, utilizzare l’esempio destreggiandosi tra benevolenza e dovere di far rispettare le regole, per far emergere nei ragazzi e nelle loro famiglie di origine – in un contesto apparentemente senza speranza –  la consapevolezza circa ciò che è bene e ciò che è male.

Non si tratta di ingenuo lassismo ma di una scelta che fa leva sull’umana comprensione.

Non si riduce a mera debolezza perché consiste piuttosto nella capacità di coltivare il seme della speranza.

Utilizzare il buon esempio e promuovere una sana educazione sentimentale sono due vie da percorrere anche laddove tutto sembra compromesso.

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