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Adriano Soi

Come fronteggiare le mire di Russia e Cina in Italia?

Conversazione di Marco Mayer con il Prefetto Adriano Soi, docente di Intelligence alla Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze,  già direttore delle Relazioni Istituzionali del DIS    

 

Nel libro che hai scritto con Dario Antiseri insisti molto sul fatto che gli errori più gravi degli analisti di intelligence sono indotti dal precognito. In Italia l’incapacità di cogliere in tempo la crescente minaccia della Russia dal 2008 in poi è attribuibile al “mito” di Pratica di Mare che Bruno Vespa continua ad alimentare a Porta a Porta?

Putin è un uomo del vecchio KGB ed è difficile non pensare che per lui l’Europa e i suoi regimi democratici abbiano sempre costituito un bersaglio da colpire in tutti i modi possibili: spionaggio, disinformazione, propaganda, ingerenza economica, influenza politica, aggressione armata. Tutti i Paesi europei, quale più quale meno, hanno pagato uno scotto quasi mai trascurabile alle “attenzioni” russe. Altrimenti è difficile spiegare perché un intero continente si è fatto sorprendere dall’attacco all’Ucraina, che ne ha messo subito a nudo la grave dipendenza energetica proprio nei confronti della Russia. Da questo punto di vista l’Italia era sicuramente messa male ma, vale la pena ripeterlo, tutt’altro che sola.

Una seconda domanda sulla Russia. Perché nessuno parla del fatto che in molte parti del territorio nazionale – penso alla riviera romagnola – società controllate da Gazprom gestiscono la distribuzione al dettaglio del gas per le famiglie e le imprese?

La capacità di penetrazione di Gazprom in molti Paesi europei è testimoniata da fatti anche più significativi di quello da hai citato. Il caso Schroeder, sebbene alla fine sia rientrato dopo la sua rinuncia ad entrare nel consiglio di vigilanza della società russa, lo dimostra senza equivoci.

Un’ultima domanda sui rapporti tra l’Italia e Putin. La missione dei militari russi nel 2020 e la partecipazione dell’Italia al progetto del vaccino anti Covid “Spuntik” sono parte dello stesso disegno strategico?

Sì, è quello di cui parlavo prima: nei due casi ora citati, tentativi di spionaggio e iniziative propagandistiche erano strettamente intrecciate.

Quando eri a capo delle Relazioni istituzionali del DIS, hai promosso una inedita apertura all’esterno del sistema di intelligence, in particolare con un vasto coinvolgimento dell’Università. Perché negli ultimi anni (in cui ce ne sarebbe stato ancora più bisogno) le iniziative si sono affievolite dando l’impressione che la politica trascuri l’importanza dell’intelligence?

La promozione e la diffusione della cultura della sicurezza sono affidate al Dis da un’espressa norma di legge, di cui l’apertura del sistema d’intelligence verso l’esterno è una diretta conseguenza. La scelta iniziale fu di puntare su un dialogo stretto con le università, rompendo vecchi steccati. Si ebbero risposte positive e alcune delle iniziative assunte allora hanno portato all’istituzione di corsi che sono ancora attivi. Per alcuni anni, l’Autorità delegata e il Direttore generale del Dis furono molto presenti negli Atenei di tutta Italia, tenendo conferenze che normalmente erano affollate e seguite con interesse. Lo scopo era quello di far conoscere alle nuove classi dirigenti l’intelligence e le sue missioni negli ordinamenti democratici. Su questa stessa strada si sono incamminate, da qualche anno, due tra le agenzie di intelligence più note al mondo, la statunitense Cia e il britannico MI6, i cui direttori hanno cominciato ad esprimersi in pubblico tenendo conferenze o scrivendo saggi. La stessa Avril Haines, Direttrice dell’Intelligence Nazionale degli Usa, è notoriamente fautrice di un maggior dialogo pubblico-privato anche nel settore di quelli che una volta chiamavamo i “servizi segreti”. Esempi così autorevoli meriterebbero, mi sembra, di essere ora ripresi anche da noi, che qualche anno fa in questa direzione avevamo già rotto il ghiaccio.

Dai primi casi di Covid a Wuhan a quando Pechino ha deciso le prime misure restrittive sono passati tre mesi di inerzia e grave sottovalutazione. Il 31 dicembre 2019 la Cina ha comunicato all’OMS di Ginevra che il virus non si trasmetteva da persona a persona. Visto il precedente della SARS i servizi si sono attivati per monitorare le comunità cinesi in Italia e prevenire l’emergenza o tutto è stato delegato alle autorità sanitarie?

Credo che le comunità cinesi in Italia siano monitorate, per quanto possibile, da ben prima del Covid ma, poiché non risulta che il virus sia passato da lì per arrivare da noi, non era quello il canale giusto per intercettare qualche segnale d’allarme. Solo antenne piazzate in Cina avrebbero forse potuto rilevare qualcosa di significativo. Ma la Cina, si sa, è uno dei Paesi più impermeabili al mondo dal punto di vista informativo. Nelle autocrazie é la norma.

In Italia il passaggio dal 4 al 5 G ha segnato un aumento della presenza cinese nelle telecomunicazioni (dal 42% al 53%). C’è una responsabilità specifica del Movimento 5 Stelle o le aziende cinesi sono riuscite ad esercitare un’influenza trasversale in tutti i partiti?

Le ingerenze cinesi nell’economia italiana non sono una novità e non finiranno oggi né, temo, domani. I nostri governi spesso hanno sonnecchiato, la legge sul Golden Power non sempre funziona. I cinesi sono molto più silenziosi dei russi, seguono vie di penetrazione assai efficaci, come si è visto, per esempio, in Africa.

Perché Matteo Renzi, Padoan e Bassanini hanno ceduto quasi il 40% di Cdp Reti al colosso cinese dell’energia State Grid?

La risposta che venne data all’epoca fu che il controllo dell’azienda rimaneva pur sempre sotto il controllo del governo italiano. Come dire: lasciamo entrare il topo nel formaggio, ma stiamo tranquilli perché gli abbiamo messo la museruola. È una scelta che la dice lunga sulla percezione della sicurezza e degli interessi nazionali da parte della nostra classe dirigente.

La mia impressione è che quando ci sono di mezzo aziende cinesi, russe e iraniane molti operatori guardino dall’altra parte come se i dossier fossero troppo scottanti. Non so se la mia esperienza in campo digitale possa essere generalizzata, ma esistono realmente muri di gomma?

Cina e Stati Uniti competono oggi a livello mondiale in ogni campo, ma ciò non impedisce al loro interscambio commerciale di rimanere intenso. È la globalizzazione, naturalmente, che chiama i governi a non girarsi dall’altra parte ma, al contrario, a vigilare su aspetti particolarmente critici, come le catene di approvvigionamento. La pandemia ci ha impartito lezioni assai dure a questo proposito. Ma qui vale la pena di ripetersi: il problema centrale è la diffusione della cultura della sicurezza nazionale nella nostra classe dirigente. Si tratta di sviluppare la consapevolezza dei rischi e la capacità di prevenire le minacce, è un problema di formazione culturale che deve essere affrontato prima di tutto nelle università. Da noi la tendenza consolidata è quella di occuparsi di una questione solo quando è diventata un’emergenza e molto spesso ciò significa chiudere le porte della stalla quando i buoi sono già fuggiti.

Come spieghi il modo pasticciato con cui il governo giallo-verde ha gestito le missioni di Barr a Roma per conto del presidente Donald Trump?

Parlare di “modo pasticciato” è forse ancora un eufemismo. Per quello che è parso di capire leggendo i giornali, si è trattato di un caso di scarsa dimestichezza con i meccanismi tecnici necessari per sbrogliare questioni oggettivamente complesse e politicamente molto delicate. L’impressione che si è avuta è stata che i vertici della nostra intelligence siano stati messi in una condizione di forte difficoltà nella gestione di un rapporto diretto con un’autorità politica straniera. Ciò può avvenire ma in circostanza del tutto diverse, spesso di carattere eccezionale, come, per esempio, sono quelle che attualmente vedono i capi della Cia e del Mossad impegnati in trattative con vertici politici di altri Paesi per trovare una via d’uscita al tragico conflitto tra Israele e Hamas.

I mercenari del FSB che hanno messo in difficoltà il Presidente del Consiglio (con la famosa telefonata con il finto presidente della Commissione dell’UA) sapevano che Palazzo Chigi era privo dei dispositivi tecnologici di riconoscimento vocale. Come spieghi questa arretratezza nell’ambito del controspionaggio gestito da quindici anni dagli apparati interni?

Naturalmente posso solamente immaginare quale sia il livello attuale di protezione tecnologica delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, ma mi sembra che in questa specifica questione sarebbe bastato far gestire agli uffici tecnici di Palazzo Chigi i contatti istruttori che normalmente precedono un colloquio telefonico tra leader, contatti che servono proprio a sgomberare il terreno da ogni equivoco, primo tra tutti quello sull’identità dell’interlocutore. Non sono sicuro che sia andata così e che la responsabilità fosse tutta del Consigliere diplomatico della Presidente, anche se l’intera vicenda si chiuse proprio con le dimissioni di quest’ultimo.

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