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Russia

Come finirà la guerra in Ucraina

Guerra Russia-Ucraina: fatti, commenti e scenari. Il corsivo di Teo Dalavecuras

William (“Bill”) Burns, nominato direttore della Cia da Joe Biden nel marzo del 2021 e confermato all’unanimità dal Senato, non è stato “solo” un ambasciatore di carriera (a differenza di quelli che per consuetudine il presidente nomina, dopo la vittoria elettorale, in segno di gratitudine per il sostegno, il più delle volte monetario, nella campagna elettorale) che ha servito il suo Paese in posti non di tutto riposo come la Federazione Russa o la Giordania, ma è stato ed è anche un esponente di primissimo piano degli apparati della politica estera e di sicurezza americana.

Alexis Papachelas, direttore del più autorevole quotidiano greco, la Kathimerini, è un giornalista di lungo corso con una formazione di tutto rispetto. Dopo la maturità all’elitario American College di Atene ha studiato economia e politica al Bard College per conseguire infine un diploma post-laurea in giornalismo alla Columbia University sempre in America. È stato il primo autore, nel 1998 (nel libro “Lo stupro della democrazia ellenica”) a documentare i collegamenti tra la giunta militare che aveva preso il potere il 21 aprile 1967 e i servizi segreti Usa.

Il 5 gennaio scorso Papachelas ha firmato un articolo sulla prima pagina di Kathimerini che inizia con alcune citazioni: “Appena fui insediato nell’ambasciata a Mosca mi resi conto che l’allargamento della Nato era prematuro nella migliore delle ipotesi e inutilmente provocatorio nella peggiore (…). Dopo la sua rielezione Clinton procedette all’allargamento della Nato. Poiché i russi ribollivano d’ira e mostravano sentimenti di inferiorità, si sviluppò una tempesta di teorie sul tema della pugnalata alla schiena, che bloccò per decenni i rapporti tra la Russia e l’Occidente”. Sono parole tratte dal libro “The Back Channell” che raccoglie le memorie di Bill Burns, appunto.

Commenta Papachelas: “Non credo che esista una spiegazione migliore del perché si sia arrivati all’attuale situazione (alla data dell’articolo non c’erano ancora state azioni belliche ma proseguiva l’accumulo di truppe russe ai confini con l’Ucraina, ndr). Putin è un prodotto, una risposta russa all’arroganza dell’Occidente, che pensava di averla fatta finita una volta per tutte con la Russia come superpotenza. La politica nei confronti di Mosca derivò dalle giustificate ma non lucide agende dei Paesi europei che avevano subito il regime sovietico. Oggi la Russia è di nuovo un attore geopolitico. La storia avrebbe potuto svilupparsi in modo diverso? Evidentemente sì se l’America, ma anche l’Europa, avessero gestito con più magnanimità e intelligenza il crollo dell’Unione Sovietica. Così si era comportato Bush padre rifiutandosi di festeggiare pubblicamente la caduta del Muro per non provocare reazioni. Sapeva che la hybris strategica facilmente si trasforma in un boomerang. Clinton apparteneva a un’altra generazione. Il suo rapporto con la storia era cerebrale, non vissuto”.

Papachelas prosegue narrando dell’imbarazzo di un politico greco che si trovò a partecipare a un vertice di leader occidentali cui era stato invitato anche Boris Yeltsin. “Stasera ci si diverte” fu il preannuncio di Bill Clinton, che in effetti si divertì un mondo allo spettacolo di Yeltsin ubriaco che affondava le dita nel caviale. “Quel che viviamo oggi”, conclude Papachelas, si spiega chiaramente con quanto accadde 20-25 anni prima”.

Il saggio ed esperto Guido Crosetto commenterebbe che sarà anche tutto vero ma ora c’è la guerra e sui perché e i percome ci sarà tutto il tempo di soffermarsi più avanti, e questa è l’opinione di gran lunga prevalente. Ed è comprensibile.

Ci si può tuttavia anche chiedere se non sia proprio la criticità e drammaticità della situazione presente a esigere il massimo di lucidità e di capacità di mettersi anche nei panni dell’antagonista. A meno che, naturalmente, oggi le guerre non si vincano alimentando nell’opinione pubblica l’odio per il nemico, che non può che essere una persona determinata – in questo pare che Zuckerberg ci metta del suo, e ci sa fare, sicuramente – e in generale trasformando il sistema dell’informazione in una fabbrica di fanatismi travestiti da buone intenzioni e da buoni sentimenti (tutti abbiamo letto di invocazioni all’invio in Ucraina di “brigate internazionali”, probabilmente anche da parte di chi non ha mai sentito parlare della Guerra di Spagna). Può darsi, ripeto, che così si vincano le guerre, di polemologia non so assolutamente nulla.

Quel che credo di sapere è che lo sfondo è ancora quello rappresentato dalle parole di Burns e di Papachelas, uno sfondo che non può non condizionare l’uscita da questa guerra nel cuore dell’Europa, che si va cronicizzando. Forse non sarebbe inutile tenerlo presente questo sfondo, magari parlarne, a meno che la scelta strategica dell’Occidente oggi non sia quella di “farla finita” una volta per tutte con la potenza russa cavalcando gli errori di Putin (che rischiano di rivelarsi tragici), come anche qualche articolo di Foreign Affairs implicitamente suggerisce. Niente da dire, sarebbe Realpolitik. La domanda è: lo sarebbe anche per l’Europa, al di là delle dichiarazioni della signora Ursula von der Leyen (che evidentemente si ritiene un John Fitzgerald Kennedy in tailleur), sul fatto che “siamo tutti ucraini”?

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