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Javier Milei

Come e perché rilanciare cooperazione e sviluppo tra Italia e America Latina

Recensione del libro "Italia e America Latina. Storia di una idea di politica estera" di Donato Di Santo, edito da Donzelli

 

La “pubblica opinione” italiana (rilevata da continui sondaggi e periodicamente ratificata dall’assenteismo elettorale), non gradisce riflettersi nella “politica”, né con lo scrupolo che pur sarebbe necessario ha voglia di distinguere il grano dal loglio e per la quale mostra dunque una sommaria, scarsa considerazione. Quando ancor più radicalmente non preferisce sentirla sostanzialmente estranea, quasi che a bordo di qualche OVNI fosse planata tra noi da un pianeta sconosciuto. È un fenomeno tutt’altro che esclusivamente italiano. Accade da tempo più o meno dappertutto, su questa sponda così come sull’altra in entrambi gli emisferi al di là dell’Atlantico.

Le istituzioni che la rappresentano – è pur vero -, non rispondono infatti sufficientemente ai bisogni d’una parte sempre più rilevante delle popolazioni che si trovano a vivere nella massima inquietudine questa tumultuosa transizione verso una nuova epoca della modernità occidentale. Negarlo sarebbe un rituale di cui tutti sentiamo l‘insopportabile stanchezza. Tuttavia, pur con i suoi innegabili e ormai laceri vizi, la politica intesa come esercizio della democrazia dei diritti non perde la sua maggiore virtù: garantisce come nessun altro sistema il dibattito delle idee. Non meno che il persistere e l’aggravarsi di taluni problemi, ad essa dobbiamo le soluzioni che mantengono viva questa nostra civiltà.

È perciò davvero meritevole (e nel susseguirsi delle vicende non privo di un suo pathos) l’ampiamente documentato racconto di come sia nata e le circostanze attraverso cui si è consolidata la biennale “Conferenza Italia-America Latina e Caraibi”, giunta peraltro alla decima edizione. Per un duplice motivo, generale e specifico. Dimostra in primo luogo come la politica sia capace di generare idee e percorsi che avvicinano uomini, paesi e continenti, individuando e coniugandone pacificamente concreti interessi reciproci. Riuscendovi inoltre per un’area del mondo (quasi 700 milioni di abitanti), suscettibile di non comuni convergenze al proprio interno, con l’Europa e segnatamente l’Italia.

Ma in cui una consunta retorica (vuotamente celebrativa dei reali vincoli di sangue creati dalla nostra emigrazione), ha invece lasciato spazio a silenzi, ambiguità e reciproche insoddisfazioni, realizzando complessivamente meno di quanto in alcuni periodi è stato pur ottenuto nello sviluppo reale di rapporti possibili e adeguati alle aspettative di entrambe le parti. Donato Di Santo, già sottosegretario agli Esteri e Segretario Generale dell’Istituto Italo-LatinoAmericano (IILA), massimo propulsore delle Conferenze Italia-America Latina e Caraibi nell’ambito della vasta e consolidata esperienza della nostra diplomazia, ne ha raccolto la storia in un volume che si apre con un intervento del capo dello Stato, Mattarella, e il Centro Studi Politica Internazionale (CeSPI) pubblica con l’editore Donzelli.

Nei rapporti dell’Italia con l’America di cultura latina, ricorre convenzionalmente la memoria della moltitudine dei nostri emigrati nei 20 paesi che si susseguono dal Rio Bravo allo stretto di Magallanes e soprattutto attorno al bacino del Rio de la Plata e in Brasile. Milioni e milioni di uomini, donne e bambini che tra l’ultimo terzo dell’Ottocento e metà del secolo scorso sono andati a “fare l’America” (nel duplice senso di costruirla e impiantarvi la propria vita). Provenivano da ogni regione della nostra penisola ed erano stati preceduti da altri connazionali, soldati, intellettuali, artisti e imprenditori che avevano partecipato spesso da protagonisti ai processi di formazione nazionale di quegli stati.

Seguiti dal secondo dopoguerra ai tempi nostri dagli investimenti industriali, molti dei quali di straordinaria dimensione e avanzatissimi contenuti tecnologici, da parte di grandi e notissimi gruppi italiani (Fiat, Techint, Enel, Ferrero, per citarne alcuni). Tutti questi poderosi innesti hanno interagito con presenze attive preesistenti e impregnato di cultura italiana l’intero subcontinente. Senza che tuttavia siano state evitate lunghe parentesi di reciproco silenzio e senza mai realizzare una continuità strategica. “Con l’America Latina il nostro paese ha vissuto storicamente fasi alterne e sentimenti controversi. A volte di grande vicinanza, intesa e solidarietà; altre di superficiale disinteresse”, commenta Donato Di Santo. Che poi postilla: “L’Italo-Latinoamericana: una comunità mancata”.

L’Instabilità economica e in taluni casi anche quella politico-istituzionale del subcontinente latino hanno fatto con ogni evidenza la loro parte. Ma altrettanto innegabili sono le debolezze della lungimiranza politica italiana anche per quanto concerne gli usi di uno strumento originale e di provata efficienza com’è la Conferenza biennale Italia-America Latina e Caraibi. Lo si evince a più riprese dalla cronistoria dell’autore del volume che la racchiude. A cui conferisce spessore anche l’ immediata attualità internazionale. Le accresciute tensioni determinate dalle rivalità tra Cina e Stati Uniti in Asia (e nel mondo) nel bel mezzo della crisi ecologica globale, hanno ulteriormente rivalutato la posizione strategica dell’America Latina e accelerato gli interessi di numerosi paesi nei confronti dei suoi territori.

La stessa Cina vi ha investito negli ultimi 10 anni circa 77mila miliardi di dollari, tra Cile Brasile, Messico, Argentina e Colombia (World Economic Forum). Proponendosi come il suo primo socio finanziario-commerciale. L’australiana Fortscue Future Industries si appresta a investire in Argentina 8 miliardi e mezzo di dollari per produrre idrogeno verde destinato all’esportazione (bruciato come combustibile non produce infatti CO2, l’anidride carbonica che produce il surriscaldamento che sta sconvolgendo gli equilibri ambientali sul nostro pianeta). La Spagna investe nell’energia eolica in Messico. Il catalano Josep Borrell, responsabile delle relazioni estere dell’Unione Europea, è andato a trattare con il suo omologo brasiliano per vedere come fermare le deforestazioni in Amazzonia (determinanti per l’eco-sistema planetario).

Il carattere esiziale della crisi ecologica è ormai universalmente riconosciuto. E a ostacolarne gli indispensabili e urgentissimi rimedi sono i contrastanti livelli d’industrializzazione, pertanto la diversità d’interessi tra paesi. E’ una drammatica questione storica e un nodo economico. Solo la politica può trovare le soluzioni praticabili. Che passano inesorabilmente attraverso una riduzione delle disuguaglianze innanzitutto nei paesi di minor sviluppo e deve perciò risultare forte e agile. In via di principio si tratta d’inserire opportuni criteri di cooperazione e sviluppo, tali da funzionare come fattori compensativi, negli schemi d’interscambio economico-commerciale tra Italia Europa e America Latina. Questa storia della “Conferenza Italia-America Latina e Caraibi” permette anche l’idea che possa accogliere e sperimentare nuovi, indispensabili approcci internazionali.

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