skip to Main Content

Pensioni

Come Covid-19 ha declassato anziani e portatori di handicap

Dall'Italia agli Usa, dalla Spagna alla Francia:  Covid-19 e la colpevole carenza di strutture e attrezzature sanitarie hanno declassato gli anziani (over 70) e i portatori di handicap a cittadini di serie B. L'intervento di Michele Poerio, primario ospedaliero e direttore di dipartimento chirurgico

Il Covid-19 e la colpevole carenza di strutture e attrezzature sanitarie hanno declassato gli anziani (over 70) e i portatori di handicap a cittadini di serie B, “figli di un Dio minore” in tutto il pianeta, davanti all’ineluttabilità delle scelte “di guerra” imposte dalla pandemia.

Scelta che la società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) ha inequivocabilmente recepito, sia pure in modo sofferto, con la seguente affermazione “a fronte di un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva delle risorse intensive…ogni medico può trovarsi a dovere prendere in breve tempo decisioni laceranti da un punto di vista etico oltre che clinico: quali pazienti sottoporre a trattamenti intensivi quando le risorse non sono sufficienti per tutti i pazienti che arrivano, non tutti con le stesse chance di ripresa e occorre privilegiare la maggiore speranza di vita”.

Tesi alla quale la Ledha (Lega diritti handicappati) e il Forum del terzo settore rispondono parlando di “strage degli innocenti” e “sacrificio della nostra dignità, la dignità di tutti noi oltre che del sacrificio della loro vita”. Si tratta, comunque, della posizione di una società scientifica e non di organi istituzionali come è avvenuto in Olanda e in Catalogna.

In Olanda gli over 70 hanno ricevuto un modulo da sottoscrivere in cui si impegnavano a non ricoverarsi in ospedale, in caso di coronavirus, per lasciare i posti a chi avrebbe avuto maggiori possibilità di guarire.

Nella civile Catalogna il capo del governo autonomo Quin Torra ha inviato a tutti gli ospedali una direttiva allucinante: “rifiutare il ricovero a tutti gli ottantenni; convincere i loro parenti a non accettare l’ingresso nelle rianimazioni dove i ventilatori polmonari sono insufficienti”.

Non va molto meglio nel resto del mondo.

In Francia il “ Plan blanc” dell’ospedale di Perpignan ha definito 4 tipi di decessi:

  • “le morti inevitabili” dovute alla gravità della malattia al di là di ogni intervento terapeutico;
  • “le morti evitabili” con cure al top delle possibilità;
  • “le morti accettabili” dei grandi anziani ( over 85) con polipatologie;
  • “le morti inaccettabili” di giovani senza patologie.

L’obiettivo prioritario è lo 0% delle “morti inaccettabili” e quello secondario di limitare “ le morti evitabili”.

Le morti accettabili, vadano a farsi benedire (e quasi sempre anche senza nemmeno una benedizione), che poi è la posizione del britannico Johnson con la sua “immunità di gregge” prima di smentirsi clamorosamente davanti alla gravità della pandemia e trovarsi egli stesso in rianimazione.

A Madrid ha fatto scandalo, spaccando in due i medici del sistema sanitario nazionale, il consiglio dell’associazione medici di pronto soccorso di dare priorità ai malati che mostrassero chiaramente le migliori possibilità di sopravvivenza.

Per molti è una scelta cinica ma inevitabile: “degli ultraottantenni che intubiamo soltanto il 15% si salva, mentre con un’età fra i 45 e i 70 anni il malato ha 9 possibilità su 10 di guarire” ha dichiarato anonimamente un rianimatore. “I parenti dell’ultraottantenne malato devono usare cure palliative e accertarsi bene dei sintomi. Morire a casa è l’opzione migliore, considerato che i parenti non sono ammessi in ospedale”.

Dubbi che sorgono anche nella Chiesa, che nella comunicazione “Pandemia e fraternità universale” della Pontificia Accademia della Vita scrive: “le condizioni di emergenza in cui molti paesi si stanno trovando possono arrivare a costringere i medici a decisioni chiaramente drammatiche e laceranti di razionamento delle risorse limitate non contemporaneamente disponibili per tutti…ma a quel punto…andrà sempre tenuto presente che la decisione non può basarsi su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona che sono sempre uguali e inestimabili”.

Diceva Jacques Lowe “ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. E Simon de Beauvoir si chiedeva: “Ma i vecchi sono esseri umani? Dal modo in cui sono trattati nella nostra società è lecito dubitarne” .

La situazione negli Usa, anche relativamente ai portatori di handicap, è, se possibile, più allarmante.

Nello stato di Washington, The New York Times titolava qualche giorno fa: “I disabili temono di essere tagliati fuori” dalle cure.

In Tennessee le persone affette da atrofia muscolare spinale saranno escluse dalle rianimazioni. In Minnesota saranno esclusi i malati di cirrosi epatica ,malattie polmonari e scompensi cardiaci. Nel Michigan avranno la precedenza i lavoratori dei servizi essenziali e in Alabama saranno esclusi dai respiratori i malati con gravi ritardi mentali, demenza avanzata o gravi lesioni cerebrali traumatiche, tanto da far dire alla relatrice delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili Catalina Devondes che “i disabili devono avere la garanzia che la loro sopravvivenza sia considerata una priorità”.

Si tratta di un vero e proprio scontro tra l’economia ed i diritti della disabilità se è vero, come è vero, che anche nei democraticissimi Stati Uniti d’America e precisamente nello stato dell’Indiana è stata emanata una prima legge eugenetica nel 1907 (oltre cinque lustri prima di quelle naziste) e che nello stato della Virginia solo nel 1979 sono state dichiarate incostituzionali le proprie leggi sulla sterilizzazione dei disabili mentali e solo nel 2015 è stato riconosciuto un risarcimento alle vittime.

A questo punto sarei tentato di tessere un elogio della vecchiaia e del valore della vita, ma i temi sono già stati ampiamente trattati da grandi poeti e scrittori; fra tutti preferisco Cicerone che con una semplice frase pronunciata nel De Senectute dall’ultraottantenne Catone il Censore realizza, a mio parere, il più splendido elogio della vecchiaia: “si quis deus mihi largiatur ut ex aetate repuescam et in cunis vagiam, valde recusem (se qualche dio mi concedesse di ringiovanire da questa età e di vagire nella culla, decisamente rifiuterei).

Ma da vecchio primario ospedaliero e direttore di dipartimento chirurgico intendo brevemente affrontare le problematiche degli anziani soprattutto in rapporto ad alcuni principi etici da valutare con grande accortezza nel dibattito sull’allocazione delle risorse in sanità.

In senso lato ritengo che non importa quali siano i limiti finanziari, a noi spetta di stabilire il concetto secondo cui non sia solo l’economia a guidare i nostri principi etici, ma che siano i principi etici a guidare la nostra economia secondo il supremo criterio che regola ogni vita sociale evoluta: il criterio di giustizia. Criterio che negli ultimi decenni la politica ha completamente ignorato nella determinazione della quota da destinare alle spese sanitarie puntando ad un principio economicistico esasperato che ci ha portato alla disastrosa situazione sanitaria determinata dal Covid-19.

E’, quindi, indispensabile effettuare una rivoluzione copernicana nella sanità pubblica, adeguatamente finanziata, problema che affronteremo in una prossima occasione.

In questo contesto il problema degli anziani assume una particolare cogenza soprattutto considerando che il cambiamento demografico comporta uno scenario modificato rispetto al passato, cambiando sia l’età del paziente che il tipo stesso delle patologie da acute in croniche. E’ imperativo focalizzarsi sull’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse. E’ necessario pianificare attentamente i programmi sanitari basandosi sui dati epidemiologici relativi ai bisogni degli anziani uscendo da quella sorta di “congiura del silenzio” sulla loro condizione che per lungo tempo ha caratterizzato e continua a caratterizzare anche le società più evolute.

Simon de Beauvoir ,già tanti anni fa, nella prefazione del suo libro La terza età afferma con vigore: “smettiamola di barare; nell’avvenire che ci aspetta è in gioco il senso della nostra vita; non sappiamo chi siamo se ignoriamo chi saremo; dobbiamo riconoscerci in quel vecchio, in quella vecchia; è necessario se vogliamo assumere nella sua totalità la nostra condizione umana. E allora d’un tratto non saremo più indifferenti ai mali dell’età avanzata, ce ne sentiremo toccati personalmente”.

Back To Top