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Come Cina e Germania si muovono in Africa, tutte le differenze

L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

Il confronto è tutto nelle cifre. La Cina ha stanziato per l’Africa 120 miliardi di dollari (60 tre anni fa, altri 60 nel vertice Cina-Africa in corso in questi giorni). La Germania, la prima economia europea, ha messo a disposizione 270 milioni di euro per quello che un po’ pomposamente la stampa di casa ha chiamato il piano Marshall per l’Africa. Con questo tesoretto, la cancelliera Angela Merkel è andata lo scorso fine settimana a far visita alle autorità politiche di tre Stati africani, Senegal, Gambia e Nigeria, per confermare l’impegno della Germania “a combattere le cause delle migrazioni”. E si è portata appresso anche una delegazione di imprenditori, tra i quali spiccava il numero uno di Siemens Joe Kaeser, unica faccia nota del gruppo.

IL PIANO DELLA CINA IN AFRICA

Il piano cinese è stato appena annunciato a grandi linee da Xi Jinping nel corso del vertice pechinese. Quello tedesco lo aveva presentato qualche settimana prima il ministro per la Cooperazione economica e lo Sviluppo Gerd Müller (solo omonimo del più famoso calciatore tedesco degli anni Settanta). La seconda grande differenza (oltre al volume degli investimenti) è che la parte del leone è affidata alle imprese private, mentre lo Stato si riserva la funzione di garantire i rischi di chi si lancia nell’avventura.

IL PROGETTO DELLA GERMANIA IN CINA

Gli aiuti allo sviluppo tradizionali non bastano più, aveva detto Müller illustrando alla stampa i contenuti del suo piano, abbiamo bisogno che intervengano le imprese investendo direttamente in Africa e portando lì il loro know-how e le loro tecnologie. Allo Stato è riservato un ruolo di garanzia che si basa su tre pilastri: contratti di tutela statale per gli investimenti, assicurazione sui rischi cui l’impresa va incontro e incentivi fiscali per tutte le aziende che decidono di investire nei paesi che diventeranno partner del progetto. Il piano Müller si affiancherà ai programmi già in corso per l’Africa coordinati dai ministeri dell’Economia e delle Finanze.

CHE COSA DICONO GLI INDUSTRIALI TEDESCHI

Il mondo industriale, che dovrebbe assumersi l’onere principale, ha reagito con tiepido ottimismo. Associazione industriale e Camera di commercio hanno sostenuto fin dall’inizio il progetto di Müller ma temono la sovrapposizione di competenze tra i diversi ministeri economici e si augurano un maggior coordinamento. Il presidente dell’Associazione africana dell’industria tedesca, Christoph Kannengiesser, si è lamentato che ci siano voluti ben due anni per definire il piano nei dettagli e ha poi offerto un suggerimento ai politici: si dovrebbero enfatizzare di più le opportunità e le potenzialità del continente, invece che fossilizzarsi solo su come poter bloccare in origine i migranti.

LE PAROLE DI MERKEL

Che è esattamente quel che fanno i politici cinesi. Il viaggio africano della cancelliera ha invece riaffermato come il tema migrazione resti al centro delle preoccupazioni tedesche (ed europee) e costituisca l’orizzonte entro il quale vengono elaborati i nuovi progetti di investimento. “Una Unione Europea prospera può esistere solo se verremo a capo del problema dell’immigrazione stabilendo partnership con gli Stati africani”, ha detto Merkel ad Accra, dove ha visitato un paio di startup locali e ha assicurato ai leader ganesi non meglio specificati aiuti per le riforme. In Senegal ha annunciato un investimento nell’ordine di 120 milioni di euro per l’elettrificazione di 300 villaggi, un beneficio per circa 20mila persone. E in Nigeria si è confrontata con l’emergenza di un paese minacciato a nord dal controllo delle milizie islamiche Boko Haram, altrove dai conflitti fra agricoltori cattolici e pastori musulmani e che solo ora si sta riprendendo dalla crisi provocata dal crollo del prezzo del petrolio.

NUMERI E CONFRONTI

I 19 miliardi provenienti dalle rimesse degli emigrati non sono poca cosa per l’economia nigeriana e così, negli incontri nella capitale Abuja, il tema dei migranti è tornato in primo piano. Dopo gli eritrei, i nigeriani rappresentano l’etnia africana più presente in Germania: 20.000 profughi sono in attesa di conoscere l’esito delle richieste d’asilo, altri 8.600 hanno già il foglio di rimpatrio. In Senegal, secondo i rapporti consegnati alla cancelliera, 300.000 giovani premono ogni anno su un mercato del lavoro interno deficitario e la metà di essi è pronta a partire verso l’Europa. “I giovani hanno bisogno di lavoro”, ha detto Merkel in uno dei discorsi, e conta che a crearlo contribuisca l’arrivo della piccola e media industria tedesca.

LE SPERANZE DEL GOVERNO TEDESCO

A fine ottobre è indetta a Berlino una grande conferenza degli investitori, cui parteciperanno anche i leader di molti paesi africani. Merkel spera di coinvolgere quanti più imprenditori possibili, consapevole di non poter competere con la Cina sul piano degli interventi statali ma speranzosa nello slancio della spina dorsale dell’industria tedesca. Finora, dei 3 milioni e mezzo di imprese tedesche, solo 800 risultano attive in Africa (dati Handelsblatt). Bisognerà vedere se le condizioni del piano Marshall governativo invoglieranno i nuovi imprenditori. Il quotidiano che li rappresenta (l’Handelsblatt appunto) sostiene che il morale sia basso e che “gli industriali tedeschi diano la sensazione di aver già perso la partita con i cinesi”. Che vengono lodati dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung: “Al contrario dell’Europa, la Cina ha una strategia chiara per l’Africa e aiuta le sue imprese a investire in settori moderni come energia, infrastrutture, telecomunicazioni”.

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