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Economia Tedesca

Come cambierà la Germania dopo le elezioni

Elezioni in Germania: i programmi dei partiti, le sfide post Merkel e gli effetti sull’Europa. L’analisi di Federico Niglia, professore di Storia delle Relazioni internazionali LUISS School of Government Le elezioni federali tedesche del 26 settembre si avvinano sotto il segno dell’incertezza. A movimentare un quadro politico tedesco da molto tempo abituato a formule standard…

Le elezioni federali tedesche del 26 settembre si avvinano sotto il segno dell’incertezza. A movimentare un quadro politico tedesco da molto tempo abituato a formule standard ha contribuito innanzitutto la decisione di Angela Merkel di passare il testimone dopo un quindicennio in cui ha guidato la Germania e ha tenuto il timone dell’Unione Europea. Su questo vuoto si è innescata una dinamica partitica che ha visto la CDU-CSU, guidata da Armin Laschet, alle prese con una complessa transizione sia in termini di leadership che di linea politica, mentre i socialdemocratici hanno sperimentato, soprattutto in quest’ultima fase della campagna, una ripresa legata soprattutto al ruolo propulsivo di Olaf Scholz. In parallelo, si è consumata la parabola dei Grünen (Verdi), prima considerati come la forza capace di scardinare il tradizionale bipolarismo e poi ridimensionati dai sondaggi. Sulle performance dei partiti hanno poi pesato una serie di vicende personali, gaffes e scandali il cui peso verrà poi quantificato dai risultati elettorali.

IL RIPOSIZIONAMENTO DEI PARTITI PRINCIPALI E IL RUOLO DELLE LEADERSHIP

Il momento elettorale ha sempre un effetto polarizzante sui partiti e, in genere, all’indomani del voto si assiste a un rientro su posizioni più pragmatiche. Questo discorso vale soprattutto per un Paese, come la Germania, dove la logica di coalizione è dominante. È però innegabile che in questa lunga campagna elettorale, iniziata di fatto nel momento in cui Angela Merkel ha annunciato la sua intenzione di lasciare, i principali partiti sono profondamente
mutati. È certamente cambiata la CDU-CSU, che solo a gennaio è riuscita, con l’elezione di Laschet a presidente della CDU, a chiudere una guerra di successione che si protraeva dal 2018. Nel dicembre di quell’anno era stata eletta presidente del partito Annegret Kramp-Karrenbauer, fautrice di una linea di stretta continuità con Merkel. Quando però AKK è saltata sulla mina del Turingiagate, una “crisi Tambroni” in salsa tedesca, la CDU ha faticato non poco a ritrovare la bussola, obbligando anche Merkel a rimanere in campo per un tempo supplementare. A rendere più complessa la transizione è giunta infine la pandemia, che ha ulteriormente rallentato il processo. Con Laschet ha prevalso, per la seconda volta, l’idea che la CDU dovesse proseguire sul solco merkeliano: Friedrich Merz, fautore di una svolta conservatrice, è stato sconfitto per la seconda volta, e Markus Söder, il leader bavarese di cui si è per un momento ventilata l’ascesa come candidato nazionale, si è ritirato garantendo un appoggio a Laschet. Ma la scelta del vertice riflette solo in parte il cambiamento di un partito, che dopo la stagione “ecumenica” del merkelismo, sembra riscoprire la sua identità conservatrice. Lo fa perché sia perché quella conservatrice è un’identità forte e radicata, sia perché questo le permette di riguadagnare spazio a destra senza lasciare campo libero alla destra radicale di AfD, il tutto senza necessariamente compromettere la natura di catch-all party della CDU.

In questo discorso si inserisce la risalita dell’SPD, legata ma non completamente dipendente dalla figura di Olaf Scholz. Per tutta l’era Merkel l’SPD aveva rappresentato il grande malato della politica tedesca, alle cui condizioni non ha certo giovato la logica della “groKo” (grande coalizione). Lo si vide in occasione delle elezioni del 2009, quando il partito registrò la prima di una serie di pesanti sconfitte. In seguito, il partito ha puntato su Martin Schulz, forte anche della sua esperienza come Presidente del Parlamento europeo, il quale però ha deluso le aspettative. Di recente, il partito sembra aver trovato una sua direzione riportandosi su posizioni maggiormente di sinistra, come dimostra l’elezione, nel 2019, di Saskia Esken e di Norbert Walter-Borjans a Parteivorsitzender. Con un partito che riscopre la propria identità socialista, la scelta come Spitzenkandidat (letteralmente “candidato di punta”) di Scholz, l’oppositore del duo Esken/Walter-Borjans, ha avuto un effetto di bilanciamento: il ministro delle Finanze uscente, volto moderato del partito e su posizioni caute (o addirittura conservatrici ascoltando le ultime dichiarazioni) in materia di finanza pubblica e bilancio europeo, può essere in grado di mantenere il partito attrattivo anche nei confronti dell’elettorato moderato.

GLI SCENARI SULLE FUTURE COALIZIONI DI GOVERNO

È dal riposizionarsi dei due partiti principali, CDU-CSU e SPD, che bisogna partire sia per immaginare i possibili scenari di coalizione sia per ragionare sull’impatto che l’esito delle elezioni tedesche potrebbe avere sull’Europa (e sull’Italia). Per quel che riguarda le coalizioni è certo che la riscoperta identitaria dei due partiti rende l’ipotesi di un’ennesima grande coalizione, se non certamente impossibile, quanto meno faticosa da realizzare. Sarà faticosa anche perché si tratta di una formula per certi versi esausta che non incontra più il favore degli elettori e che viene considerata come perniciosa dai partiti stessi. Questo rilancia il ruolo degli altri partiti, in primis dei Verdi, inizialmente considerati come la forza capace di sovvertire gli equilibri tradizionali e successivamente ridimensionati dai sondaggi. Questo ridimensionamento non fa però venire meno la loro capacità di essere un rilevante partner di coalizione: sembra infatti che il partito abbia oramai superato quel settarismo che gli ha precluso la partecipazione ai precedenti governi. Il discorso si può estendere anche ai liberali dell’FDP e alla stessa Linke, anch’essa apparentemente più aperta a eventuali accordi (in questo caso solo con SPD e Verdi).

Nell’attesa di conoscere il responso delle urne, quello che si può immaginare sin da ora è che la formazione dei nuovi equilibri non avverrà immediatamente. Questo perché la Germania esce da un quindicennio in cui Merkel ha rappresentato il metronomo della politica nazionale ed europea, ma anche perché il panorama delle forze politiche è indubbiamene mutato rispetto al passato. Già in passato le procedure di creazione delle coalizioni si sono dimostrate complesse e laboriose. Questa volta, però, il tempo non favorisce i bizantinismi programmatici e impone scelte rilevanti soprattutto in ambito europeo. I partiti dovranno cercare di realizzare un duplice equilibrio che contemperi le diverse visioni delle riforme in ambito nazionale e promuova, al contempo, una posizione comune rispetto al futuro dell’Unione Europea.

Questo secondo tavolo negoziale appare, per certi versi, quello più complesso. Nel corso della campagna elettorale si è assistito, infatti, a una rinazionalizzazione delle posizioni dei partiti maggiori su alcuni temi chiave, come ad esempio quelli del debito e della crescita. Fino ad oggi la Germania è stata la promotrice di una moderata ma progressiva apertura rispetto al consolidamento dell’Unione. Ora, in assenza di Merkel e nell’ipotesi di una coalizione con equilibri complessi, il raggiungimento di questo obiettivo può essere, se non certamente impossibile, sicuramente più complesso da realizzare.

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