Il putsch militare in Gabon dello scorso 30 agosto è l’ultimo colpo inferto agli interessi “neocoloniali” francesi nella cosiddetta Françafrique. È la convinzione espressa dal docente, giornalista ed ex parlamentare Jean-Leonard Touadi, che in questa intervista concessa a Start Magazine mette a nudo quel sistema di relazioni politiche, economiche e militari tra la Francia e le sue ex colonie la cui cabina di regia si trovava all’Eliseo in un’apposita “cellula” che è stata finalmente smantellata da Macron.
Professore, cosa è successo in Gabon?
Vorrei anzitutto sottolineare che sui nostri giornali si è fatta molta confusione, e ho visto addirittura che il Gabon è stato collocato nel Sahel. In realtà il Gabon si trova molto lontano e più a Sud, in Africa centrale.
Le solite sviste della stampa nostrana.
Ahimè sì. È molto importante situare bene geograficamente il Gabon perché i francesi avevano diviso le loro colonie in due parti: quella che chiamavano l’Africa “inutile”, dove pioveva poco e c’erano poche ricchezze e pochi minerali da sfruttare, e l’Africa “utile” dotata di tante risorse.
Quali Paesi si trovano nell’Africa inutile e quali invece nell’Africa utile?
Nell’Africa inutile venivano collocati il Mali, il Niger, il Ciad e, all’epoca, anche Paesi come il Senegal. Da questi Paesi l’unica risorsa che si poteva esportare era il cotone e, nel caso del Senegal, l’arachide. In queste colonie la Franca ha sviluppato pochissime infrastrutture: poche strade, pochissime ferrovie.
E l’Africa utile?
L’Africa utile comprende la Costa d’Avorio, il Camerun, il Gabon e il Congo Brazzaville. Si tratta di Paesi ricchi di petrolio e di minerali di vario tipo.
E il Gabon?
Il Gabon è stato il perno della Francia utile, dove Parigi ha sviluppato tante infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali proprio con lo scopo di esportare le ricchezze del suolo e del sottosuolo gabonese.
Di quali risorse è dotato il Gabon?
C’è anzitutto tanto petrolio, che è stato trovato in abbondanza sia nel sottosuolo sia offshore. Questo ha reso il Paese un piccolo emirato tropicale: il Gabon è tra l’altro il primo Paese africano ad entrare a far parte nel 1975 dell’Opec. Nessun altro Paese africano poteva vantare l’appartenenza a questo club. Il Gabon poi è ricchissimo di manganese, che è il quarto metallo più utilizzato al mondo: è semplicemente impossibile pensare all’industria dell’acciaio senza il manganese.
Poi?
Non dimentichiamo poi che più dell’80% della superficie del Gabon è coperta da foresta primordiale: è la foresta equatoriale, ossia la dorsale forestale più grande del mondo dopo quella dell’Amazzonia, che inizia proprio nella fascia atlantica del Gabon, attraversa il Congo Brazzaville e va a finire nella regione dei Grandi Laghi. Ricordo da bambino questi tronchi enormi di legno pregiatissimo che venivano poi caricati nelle navi ed esportati in Europa attraverso l’Oceano Atlantico. Non dobbiamo dimenticare infine che nell’Africa equatoriale, a differenza del Sahel dove piove al massimo due mesi l’anno, piove per dieci mesi all’anno, il che significa tanta acqua che si deposita nel suolo consentendo lo sviluppo dell’agricoltura.
In queste ore si parla tanto della famiglia Bongo, che ha governato ininterrottamente il Gabon dal 1967 prima che Ali fosse deposto dai militari. Chi sono i Bongo?
Omar Bongo, il padre di Ali diventato presidente nel 1967, era un funzionario dell’Onu al tempo della colonizzazione. Bongo è stato una figura chiave nella storia della Françafrique, espressione con cui si indica il sistema complesso di relazioni politiche, militari ed economiche tra la Francia e le sue ex colonie e la cui regia si trovava all’Eliseo, dove era insediata un’apposita “cellula africana” alle dirette dipendenze del capo dello Stato.
Una cellula, professore?
Proprio così. Tutti i presidenti francesi della cosiddetta Quinta Repubblica hanno guidato questa cellula dove si coltivavano i rapporti politici con i leader africani, che per arrivare al potere o per mantenerlo nei rispettivi Paesi dovevano necessariamente avere il gradimento di Parigi. Questi leader dovevano essere affidabili e garantire anzitutto gli interessi della Francia.
E Omar Bongo li ha garantiti?
Diciamo di sì. Insieme al Presidente della Costa d’Avorio Felix Houpthouit-Boigny, Omar Bongo era la vetrina della Françafrique ma anche il garante dei suoi equilibri fino alla sua morte nel 2009. Sotto la presidenza di Bongo la Francia ha potuto impiantare basi militari da cui controllare l’Africa occidentale e intervenire ovunque in caso di necessità. Ma Bongo è stato soprattutto il garante dell’onnipotenza economica della Francia simbolizzata dal marchio del colosso petrolifero Elf. Le grandi compagnie francesi che spadroneggiavano in Paesi come il Gabon avevano il compito di assicurare la continuità degli interessi francesi, interessi che da coloniali sono diventati neocoloniali.
Allora Bongo era una sorta di prestanome?
L’espressione è un po’ esagerata. Diciamo che tra la Francia e Bongo c’era un patto non scritto in cui ognuno trovava il proprio tornaconto. La cellula garantiva la sua permanenza al potere e Bongo garantiva gli interessi francesi.
La domanda sorge spontanea: la cellula africana dell’Eliseo esiste ancora?
Dopo aver regnato in Africa per tutto questo tempo, la cellula è stata finalmente smantellata da Macron, il quale ha aperto un cantiere di riflessione sulle colpe della Francia cooptando tutta una serie di intellettuali incaricati di disegnare un nuovo approccio da mantenere nei confronti delle ex colonie.