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Il Cnr della Carrozza sbanda per effetto della corrente del Golfo?

Cosa succede negli istituti del Cnr dedicati alle scienze umani e sociali. La lettera di Gianluca Zappa

Caro direttore,

vorrei raccontarti una storia che riguarda il Cnr di cui in passato Startmag si è occupato.

Ai numerosi malumori che già da qualche tempo si manifestano con crescente frequenza nel Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) presieduto da Maria Chiara Carrozza sembra ora aggiungersene un altro, questa volta proveniente dal personale che lavora negli Istituti del Cnr specializzati nell’ambito delle scienze umane e sociali, considerate, rispetto alle scienze dure e alle loro applicazioni tecnologiche, sempre più marginali all’interno del maggiore ente pubblico di ricerca italiano e per questo penalizzate con scelte strategiche discutibili e rispondenti a logiche tutt’altro che scientifiche, secondo molti dipendente del Cnr.

L’introduzione delle scienze umane e sociali all’interno del Cnr data all’inizio degli anni ‘60 (agli anni ’70 la fondazione di centri di ricerca dedicati allo studio dei beni culturali), cioè quattro decadi dopo la fondazione del Cnr, e sempre difficile è risultata l’integrazione con il mondo delle scienze legate ai metodi delle prove empiriche e alle nozioni di misurabilità ed esattezza. Tuttavia, l’attività scientifica nell’ambito delle scienze umane, sociali e del patrimonio culturale del Cnr, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ha registrato notevoli progressi e raggiunto posizioni e risultati di eccellenza in campo internazionale.

Il piano di rilancio del Cnr avviato nel 2022, presentato all’insegna del trionfo dell’interdisciplinarietà, sembrava destinato a consolidare e rafforzare questo percorso, ma così non è stato e di qui la crescente delusione di ricercatrici e ricercatori.

Secondo fonti interne, le scienze umane e sociali non sembrano infatti trovare una collocazione adeguata all’interno del Cnr guidato dal 2021 da Maria Chiara Carrozza, ex ministro della Ricerca nei governi targati Pd del decennio scorso, promossa alla guida dell’organismo di piazzale Aldo Moro sulla spinta dell’amico di sempre Enrico Letta, sostenuta all’inizio del mandato dal governo Draghi che, in cambio di una generosa iniezione di fondi dei piani Next Generation EU e Pnrr, aveva imposto alla neo-presidente di presentare un efficace piano di rilancio dell’ente. Ma il sopraggiunto cambio di segno alla guida del governo e dei ministeri competenti ha fortemente compromesso lo slancio riformatore iniziale, per i necessari riallineamenti con i nuovi interlocutori politici e per la conseguente rinegoziazione con i nuovi occupanti la stanza dei bottoni: rapporti variegati e complessi, non limitati ai soli ministeri ma riguardanti anche vari altri livelli della pubblica amministrazione, regioni, Confindustria, forze armate, mondo universitario, terzo settore, istituzioni europee …

Specchio di questa situazione è il Dsu, il Dipartimento delle scienze umane e sociali e del patrimonio culturale, che riunisce i 15 Istituti che si occupano di ricerca in tali ambiti e le oltre 800 unità di personale che vi lavorano: nato all’inizio del millennio, il Dsu ha faticato a definire una propria identità e autonomia scientifica all’interno del Cnr, per uscire dalle linee di ricerca settoriali dei vari istituti e integrarsi con gli orizzonti sempre più ampi dettati dalla programmazione europea e dalle politiche di ente. Un dipartimento fragile, come la scarpetta di cristallo di Cenerentola alla costante ricerca di un principe azzurro che non si è mai presentato, facile preda delle logiche e degli appetiti del mondo accademico, che spesso lo ha considerato come un bancomat per il trasferimento di fondi verso le facoltà universitarie e i progetti in capo agli atenei…

Per superare questa condizione, il personale del Dsu ha guardato con speranza alla stagione riformatrice di cui si accennava, ma nel 2023 la nomina a direttore del Dipartimento di Salvatore Capasso, fortemente voluta dalla presidente Carrozza, ha rapidamente smorzato ogni entusiasmo. Capasso, docente di Economia alla Università Parthenope di Napoli e precedentemente alla guida di un istituto del Cnr con sede all’ombra del Vesuvio, ha infatti inteso l’auspicato riassetto del comparto umanistico dell’ente in un modo assai personale e poco condiviso, secondo mugugni raccolti da Startmag: d’intesa con il vicepresidente del Cnr, Lucio D’Alessandro, rettore del partenopeo Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Capasso ha dato avvio a una strategia per spostare su Napoli il maggior numero possibile di centri di ricerca riconducibili ai settori delle scienze umane e del patrimonio culturale.

Questa scelta strategica è stata controversa, anche per le implicazioni immobiliari rispetto alle esigenze attualmente più avvertite da parte degli Istituti di area umanistica del Cnr – come ad esempio quella di essere dotati delle migliori infrastrutture tecnologiche e amministrative necessarie per partecipare in modo altamente competitivo al Pnrr – primo tra essi l’Ispc, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, che svolge una funzione di assoluta leadership nel campo delle ricerche sul Cultural Heritage in Italia e in Europa.

Al contrario, sullo sfondo del trasferimento verso l’area napoletana di centri di ricerca e attività del Dsu, sembrano stagliarsi – secondo alcuni addetti ai lavori  rilevanti operazioni immobiliari, con la prospettiva dell’investimento di decine di milioni di euro nella riconversione di strutture dismesse da amministrazioni pubbliche e privati, che, utilizzando un ampio ventaglio di fondi erogati dall’Europa, potrebbero ospitare le future istituzioni scientifiche. Un progetto che sembra preludere a un patto tra potentati accademici, industriali e politici nel segno del comune interesse nella gestione di ingenti risorse destinate al comparto della ricerca.

Due erano le condizioni per poter realizzare un progetto come questo, inevitabilmente destinato a suscitare forti opposizioni, ed entrambe si sono tristemente realizzate: la complicità o almeno la sostanziale condiscendenza dei vertici del Cnr da una parte, dall’altra la decapitazione degli Istituti in questa delicata fase: sfruttando il turn-over dei direttori di istituto – selezionati per concorso e in carica per quattro anni – e allungando a dismisura i tempi per l’espletamento delle procedure di rinnovo, si verifica ora la paradossale condizione, inedita per tutti gli altri Dipartimenti del Cnr, che nessuno dei 15 istituti del Dsu dispone di un direttore nella pienezza delle sue funzioni – nonostante che per la maggior parte di essi le procedure di rinnovo si siano avviate nel corso del 2023 – ma tutti sono retti da direttori facenti funzioni, incaricati dell’ordinaria amministrazione.

In assenza di direttori nella condizione di opporsi e ignorando sistematicamente le opinioni e posizioni contrarie espresse da consigli di istituto, consigli scientifici e singoli ricercatori, molte progettualità vengono piegate e senza opposizione gruppi di ricerca dal glorioso passato e dal forte radicamento territoriale in centri come Roma, Firenze, Pisa, Milano, vengono depotenziati e inglobati in reti scientifiche che – neanche a dirlo – hanno il loro terminale a Napoli.

Il risultato è una rete scientifica acefala, ingolfata dalle procedure amministrative e incapace di esprimere un parere di netta opposizione e una linea alternativa rispetto al disegno di concentrare a Napoli tutte le attività del comparto delle scienze umanistiche e sociali. Un disegno che sembra destinato a rendere un settore, già vanto della tradizione culturale italiana e supporto delle politiche pubbliche in materia, feudo di potentati politici e accademici, e delle rispettive logiche di potere.

In tutto questo fragoroso è il silenzio della presidente Carrozza, sorda a tutti i richiami che le giungono dalla rete scientifica…

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