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Xi

Come il Coronavirus modificherà la geopolitica. L’analisi di Dassù

La diffusione del Coronavirus cambia l'immagine della Cina (che ne esce parzialmente deteriorata) e divide ancora di più l'Europa post Brexit. L'analisi di Marta Dassù pubblicata su Aspenia

Coronavirus crea le condizioni di un decoupling, anche se parziale e temporaneo, fra l’economia della Cina e le economie occidentali. Chi temeva questo risultato, anche come effetto della politica di Donald Trump in campo commerciale, ne può osservare gli effetti in vitro. Che sono in realtà molto pesanti sul piano economico, sia per il gigante asiatico che per gli Stati Uniti stessi e l’Europa.

Non è la prima volta che una epidemia modifica la geopolitica. Anche se Covid-19 non ha ancora assunto la portata di un vero e proprio “cigno nero” – quegli eventi inattesi che si rivelano uno spartiacque nella storia – il suo impatto accentua la tendenza già in atto alla de-globalizzazione.

Se l’epidemia diventasse una pandemia, gli effetti strutturali sul piano globale sarebbero rilevanti. Ma anche se ciò non accadesse l’equilibrio del potere internazionale ne verrà scosso.

Vediamo rapidamente. L’immagine della Cina ne esce almeno in parte deteriorata: il contagio fra animali ed essere umani produce la seconda grande epidemia contemporanea di origine cinese dopo la Sars del 2002-2003. Per un paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di queste forme di arretratezza è una notevole contraddizione interna, per usare il linguaggio di Mao.

C’è chi parla di effetto Chernobyl: la gestione opaca e tardiva della crisi nata a Wuhan viene paragonata al modo in cui il disastroso incidente nucleare ucraino del 1986 distrusse il mito della competenza scientifica sovietica. Ma è senza dubbio un’esagerazione, visto che Pechino, se possiamo fidarci dei numeri cinesi, è poi riuscita a controllare la situazione con metodi drastici.

Ciò non toglie che la maggiore potenza asiatica subirà un forte e dannoso contagio economico. Già prima dell’inizio di questa epidemia, capitalismo e nazionalismo – i due pilastri che tengono in vita il regime cinese, legittimandone l’esistenza – avevano cominciato a scricchiolare.

Le conseguenze del Coronavirus peggiorano le cose. La Cina di Xi Jinping non sembra essere all’altezza dell’obiettivo che si propone: riportare l’Impero di Mezzo all’apice del potere globale. Il paziente zero, in Cina, potrebbe finire per essere il Partito comunista.

Sul nuovo numero di Aspenia John Hulsman sostiene che in futuro guarderemo a questo momento come all’inizio della fine di un’altra dinastia imperiale. Non ne sarei affatto certa, anche se è vero che l’economia della Cina sarà particolarmente esposta alla de-globalizzazione da virus. Nel resto dell’Asia, l’effetto contagio aumenta la diffidenza già molto evidente nei confronti di Pechino, in una fase di tensioni acute con Hong Kong e Taiwan; e quando paesi come il Giappone e la Corea del Sud temono, insieme al virus, il revanscismo della Repubblica popolare nel Mar Cinese meridionale.

E’ ancora presto per valutare gli effetti sull’America; ma certo Donald Trump – che si trova di fronte, in vista delle elezioni, una pattuglia poco competitiva di contendenti democratici – rischia di giocarsi il proprio futuro politico proprio sulla gestione del Coronavirus.

Se il Bernie Sanders semi-socialista gli fa ben poca paura, la correzione dei mercati, dovesse durare nel tempo, provocherà all’inquilino della Casa Bianca danni più consistenti. E non è chiaro se il vice-presidente Mike Pence, a cui Trump ha affidato l’emergenza Covid-19, sia l’uomo adatto per dimostrare che questa amministrazione è in grado di gestire una crisi. Per il presidente americano potrebbe davvero trattarsi di un cigno nero.

Nell’Europa post Brexit, infine, il virus divide invece di unire: l’Italia si sarà anche isolata da sola ma resta che la cooperazione europea in una materia “esistenziale” come questa è così scarsa da legittimare lo scetticismo diffuso nelle capacità dell’Ue di fronteggiare rischi e minacce transnazionali. Al contrario: un virus che non conosce frontiere rafforza la tentazione già esistente a chiudere (o tentare di farlo) i confini nazionali, indebolendo l’Europa nel suo insieme.

In conclusione: Covid-19 si incrocia con la fine della vecchia globalizzazione. Secondo François Heisbourg, prevarrà l’idea, nel nostro modo di guardare al mondo, che la “globalizzazione non è più globale” e non conviene che lo sia; mentre torneranno in vita dinamiche economiche simili a quelle esistenti negli anni Trenta. Il terreno, già prima del virus partito da Wuhan, era maturo per una svolta del genere, vista l’ascesa del nazionalismo economico e le crepe che si erano già aperte nel sistema commerciale internazionale. Covid-19 colpisce solo chi è già vecchio e malato. Il sistema internazionale che abbiamo ereditato dal secolo scorso sicuramente lo è.

(Articolo pubblicato su Aspenia)

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