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Javier Milei

Ecco i programmi della destra che ha vinto in Cile

Cile: la destra estrema ha ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni per la formazione della Convenzione che deve riscrivere la Magna Charta nazionale. Detiene dunque il potere di veto che nella precedente Convenzione è stato esercitato dalla sinistra. L'approfondimento di Livio Zanotti

A fronte di maggiori tensioni sociali, più dissenso dal governo; a fronte di minore sicurezza personale, meno preoccupazione per libertà, diritti e solidarietà. A Santiago, ieri notte, negli ambienti di governo prevaleva l’idea che in un contesto epocale scarsamente ideologizzato, sono le preoccupazioni per i problemi immediati che nelle coscienze dei più prevalgono su quelli a venire. Queste equazioni e relative variabili non sono dati algebrici, bensì percezioni politiche. Tuttavia appaiono nitide e coerenti nell’esito elettorale di ieri per l’elezione dei 50 membri della Convenzione incaricata di redigere la nuova Costituzione nazionale, che sostituirà quella voluta nel 1980 dal generale Augusto Pinochet.

IL CILE SI SPOSTA DA SINISTRA A DESTRA

In non molto più di un anno, gli umori politici dei 15 milioni di elettori cileni si sono spostati tumultuosamente dalla sinistra (che si è fermata al 37,4 per cento) alla destra (giunta al 56,6). E all’interno di quest’ultima, al conservatorismo delle due formazioni tradizionali hanno preferito nettamente il nuovo estremismo del Partito Repubblicano, che ha riportato la più alta quota di seggi: 22 (con relativo potere di veto, in precedenza nelle mani della sinistra). Sommati agli altri 11 seggi conseguiti dalla coalizione dei tradizionalisti (Chile Seguro) i conservatori si sono assicurati l’assoluta maggioranza. Rispetto ai 17 della sinistra che fa capo al presidente Gabriel Boric, ora politicamente in sofferenza.

Non sono mancati neppure errori di valutazione, tanto sul fronte progressista quanto in quello conservatore. Nel centro-sinistra, democristiani, Radicali e socialdemocratici che hanno scelto di presentarsi separatamente non hanno raggiunto il quorum necessario e il loro abbondante 9 per cento è andato completamente disperso. Altrettanto è accaduto all’oltre 5 per cento del Partito della Gente, un estemporaneo tentativo populista di destra. Cosi come non andrà molto oltre il suo valore simbolico il seggio riservato alla rappresentanza dei popoli originari. Nient’affatto trascurabili per la valutazione dell’attuale sentimento politico dei cileni in un’elezione rigorosamente obbligatoria, il numero delle schede nulle (16,8 per cento), bianche (4,5) e i 500mila elettori che hanno giustificato anticipatamente la loro impossibilità di concorrere alle urne.

IL PARADOSSO

Un duplice terremoto, dunque. E un clamoroso paradosso: poiché il potere determinante di riscrivere la Carta Magna viene così affidato al partito che difende strenuamente quella vigente. Che sia pur corretta più volte in senso democratico negli oltre 40 anni trascorsi, conserva l’impianto voluto da Augusto Pinochet: politicamente autoritario e ultra-liberista in economia. Perciò una maggioranza di cileni aveva espresso la volontà di sostituirla. Ma la versione proposta l’anno scorso all’approvazione popolare era nettamente naufragata nel referendum di dicembre. La medesima sorte potrebbe toccare alla nuova versione nel nuovo referendum popolare di fine 2023. Ma provocherebbe certamente un cataclisma non solo istituzionale, bensì politico e sociale. Nessuno se lo augura.

La scommessa consiste pertanto nel raggiungere un nuovo equilibrio tra le rivendicazioni sostenute dalla sinistra al governo (ampi diritti per le minoranze sociali ed etniche, sicure garanzie per sanità ed istruzione pubbliche: quindi uno stato inclusivo e partecipato) e le reazioni conservatrici con cui la destra radicale ha conquistato la maggioranza nella nuova Convenzione. Le proposte rinnovatrici non hanno incrociato soltanto l’opposizione pregiudiziale degli interessi privilegiati e i timori d’ingovernabilità dei ceti moderati. Ma anche l’esasperazione più generale della crisi provocata dal Covid, dei tempi lunghi del progetto riformatore, dell’ancestrale e ormai violento rivendicazionismo proprietario delle terre ancestrali da parte dei nativi mapuches, rigurgiti di criminalità organizzata.

LE REAZIONI LATINOAMERICANE

La maggior parte dei primi commenti latinoamericani, da Brasilia e San Paolo, a Buenos Aires, Bogotà e Città del Messico, esprime sorpresa e inquietudine. Avverte comunque che nello stato emotivo che vive il Cile nessuno può considerarsi del tutto al riparo dai rischi di ulteriori stravolgimenti dell’opinione pubblica. E’ il momento che la politica faccia doverosamente la sua parte. Ed è il sentimento espresso del presidente della Repubblica, Gabriel Boric, subito dopo l’esito della votazione: “Attenzione a trascurare la complessità del nostro paese, alle molteplici e profonde tensioni che lo percorrono; vi e mi auguro di non compiere i nostri stessi errori… Rivendico per tutti il rispetto del metodo democratico che il governo ha osservato scrupolosamente”.

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