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Chi spinge (e chi frena) su Draghi al Quirinale

La nota di Paola Sacchi

 

Mai come stavolta il dibattito sulle elezioni del Capo dello Stato a inizi del 2022 è strettamente intrecciato a quello per le Politiche fissate per il 2023. Non solo per i tempi di queste ultime che potrebbero accorciarsi e svolgersi anche prima del ’23 , seppur l’ipotesi al momento sembra difficile, nel caso il premier Draghi dovesse insediarsi al Colle. Ma l’intreccio tra le due scadenze è vissuto anche come molto importante per lo stesso esito delle Politiche.

Si dice Colle ma in realtà sonole Politiche l’appuntamento clou che sta già al centro delle manovre degli schieramenti.

Evidente che il Pd si sentirebbe più rincuorato da una permanenza di Mattarella, eletto da una maggioranza di centrosinistra, fermo restando il ruolo superpartes del Capo dello Stato e ferma restando anche la volontà già manifestata dal Presidente della Repubblica di non andare oltre il suo mandato. Ma il segretario del Pd Enrico Letta sembra aver già iniziato a pregarlo per rimanere quando ha fortemente sottolineato che Draghi resterà almeno fino al 2023 a Palazzo Chigi. Un almeno che farebbe pensare all’auspicio anche di un Draghi premier bis? E con quale formula? Sostenuto magari, nei desiderata del Pd da una maggioranza “Ursula” all’italiana, ovvero Pd, 5 Stelle, FI o parti di essa, insomma la stessa che si vorrebbe come piattaforma per l’elezione del Capo dello Stato? Ma per le Politiche, se questi fossero gli obiettivi del Pd, dal momento che tutti i sondaggi lo danno sotto il centrodestra, ci vorrebbe il cambio della legge elettorale con il proporzionale.

Se così fosse Matteo Salvini, ieri sera a Ceglie Messapica, alla kermesse di Affaritaliani.it in Puglia, è tornato a sparigliare le carte, piantando tutta una serie di paletti. Che iniziano proprio con un netto no al proporzionale. Per chi lo voleva all’angolo dopo le dimissioni di Durigon il “capitano” ha rilanciato su quelle del ministro dell’Interno Lamorgese. Non lo ha detto esplicitamente ma così: “Se continua in questo modo a non fermare sbarchi arrivati a 40.000 e rave devastanti, Draghi ne tragga le conseguenze”. Anche se ovviamente non ne ha fatto la condizione per restare nell’esecutivo Draghi, dove è ben intenzionato a rimanere fino alla fine e anzi ne ha rivendicato i risultati finora ottenuti “grazie alla Lega”.

Ma Salvini, seppur sia ormai abbastanza convinto che si vada a votare nel 2023, ha anche rilanciato sulla sua premiership. A una domanda del direttore Angelo Maria Perrino ha risposto: “Sì, sarei disposto a fare il premier, se gli italiani lo vorranno, se vincerà il centrodestra” e la Lega naturalmente si dovesse confermare prima nella coalizione, che “resterà unita”. Salvini, infatti, ribadisce la regola secondo la quale il premier lo esprime il partito che prende più voti. E ricorda il lavoro fatto” con abnegazione e coraggio come Ministro dell’Interno: per aver difeso i nostri confini il 15 settembre sarò nell’aula bunker a Palermo”. Conferma che Draghi, “se lo volesse”, sarebbe un autorevole candidato “per il Colle” e critica chi “lo tira per la giacca”. Ma sorpresa rilancia di fatto anche la candidatura di Berlusconi “Se pensa al Quirinale fa bene, avrebbe tutti i titoli per averla” Salvini elogia in particolare la politica estera di “Silvio”, “dopo di lui — ha detto il leader leghista — l’Italia ha perso tutti i ruoli che aveva conquistato nel mondo”. E questo dopo aver duramente contestato “la fuga sgangherata, disastrosa degli Usa dall’Afghanistan”, dove ha ribadito il secco no a trattare con i Talebani. Insomma, sul piano tattico, la cosa è suonata come anche un modo di dire a Draghi di non sbilanciarsi troppo verso sinistra.

L’ipotesi Draghi era già stata rilanciata dal ministro leghista Giorgetti che aveva ipotizzato in questa eventualità elezioni dopo la corsa al Colle. Ma Salvini ieri sera è tornato ad aggiungere anche l’ipotesi del Cav al Quirinale. Forse anche un modo per lanciare messaggi dentro FI ai ministri Carfagna e Gelmini che avevano difeso Lamorgese. Salvini ha derubricato queste dichiarazioni a “cose di corrente” azzurre. Ha fatto anche intravedere un possibile congiungimento con il Ppe, mettendola così: “Lavoro in Europa a un progetto che veda l’unificazione dei tre centrodestra, Ppe, Identitari e Conservatori”.

Il politologo D’Alimonte sul Sole 24 Ore ieri dopo aver dato atto a Salvini di “un capolavoro” con la creazione della Lega nazionale ne ha però evidenziato quella che per lui è una debolezza a vantaggio di Giorgia Meloni, cioè il fatto che Salvini continui ad essere di lotta e di governo. Ma se, invece, proprio questa alla fine si rivelasse la sua forza?

Del resto la Lega come la sua storia dimostra in questo è abbastanza maestra. Seppur ora la posta in gioco sia ben più alta. Ma rispetto a FDI Salvini potrebbe avere a questo punto per la premiership a suo favore l’impegno governativo dimostrato anche di fronte alle Cancellerie europee. Cosa che lo potrebbe rendere più affidabile agli occhiuti partner europei.

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