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Chi sogna un Grande Centro con Brunetta e Calenda?

Il Grande Centro potrebbe essere creato solo con alchimie da Palazzo: ovvero con il ritorno al proporzionale e con sbarramento o con premio di maggioranza. L'unico obiettivo? Disarticolare e porre fine alla coalizione di centrodestra.

 

In epoche più recenti Matteo Renzi premier lo chiamava il “Partito della Nazione”, in passato c’era l’originale, la Dc, ovvero la rappresentazione numero uno del Centro. Ora si chiamano nuove alleanze europeiste e moderate nei progetti centristi di Renato Brunetta e Carlo Calenda, che hanno il comune obiettivo di mettere Lega e FdI, ovvero i famigerati “sovranisti”, all’angolo.

Comunque sia, dal partito renziano della Nazione, naufragato con la sconfitta al referendum costituzionale, in poi, il tentativo è sempre lo stesso: il cosiddetto taglio delle ali, cioè di quelle forze considerate estreme da schiaffare, magari a vita, all’opposizione, per creare un corpaccione centrale perno del sistema. Ma come tutti i progetti a tavolino difficile fare i conti senza l’oste.

La nuova conventio ad excludendum verrebbe fatta a danno di partiti come Lega e Fratelli d’Italia che insieme raccolgono più del 40 per cento, pur avendo bisogno comunque di Forza Italia per vincere. In ogni caso, si tratta di forze che, a differenza del Pci e del Msi, in epoca da guerra fredda, fuori, con pesi e posizioni diverse (il Pci non lo era del tutto), dalla famosa stanza dei bottoni, Lega e FdI al governo ci sono già stati e a pieno titolo, dopo l’avvento del bipolarismo con la discesa in campo di Silvio Berlusconi nel ’94. Quella di emarginarli sarebbe un’operazione che non capirebbero gli stessi elettori, rimasti a casa a queste Amministrative, secondo il sondaggio Swg ieri sul Corriere, prevalentemente perché disincantati dalla politica, dove avvertono di non incidere con il voto, afflitti da problemi concreti irrisolti. E non perché ci sarebbe voluto più “Centro”, più Europa o più Ppe, più moderazione e via discorrendo con un linguaggio molto da Palazzo.

Il mitico Centro, uscito già con scarsi numeri, salvo eccezioni, a questa tornata delle Amministrative, potrebbe essere ricreato con alchimie da Palazzo. Ovvero con il ritorno al proporzionale, con sbarramento o con premio di maggioranza, dipende, ma comunque con un unico obiettivo: disarticolare e porre fine alla coalizione di centrodestra. Coalizione pur con grossi problemi, pur “sballottata”, ma comunque esistente con quasi il 48 per cento dei consensi e, stando a Swg, con una Lega che, pur per un soffio superata dal Pd, torna però il primo partito del centrodestra. È quel centrodestra che governa la netta maggioranza delle Regioni a traino Lega. Ai centristi di Forza Italia – che contestano lo stesso Silvio Berlusconi, caso un po’ singolare, contro il quale lo stesso Cav è già intervenuto dicendo seccamente “cose fuori dalla realtà”, insieme con il deputato di Fi  sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè – è stato chiesto che fine farebbero quelle giunte regionali di centrodestra, netta maggioranza del Paese?

Eppure sono giunte, a volte a traino della stessa Lega, con l’eccezione in Calabria della forte affermazione dell’azzurro Roberto Occhiuto. O giunte, come nelle Marche, dove è stato importante l’apporto di FdI.

Tra il dire e il fare, forse anche in politica c’è un po’ di mezzo il mare. Anche se la prossima elezione, con inizio delle votazioni a gennaio, del Capo dello Stato sarà già un primo decisivo test su dove queste manovre vanno concretamente a parare. Perché i nuovi centristi numeri nel Palazzo li avrebbero per scompaginare i giochi di quel centrodestra che, in una nota congiunta di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ha detto a chiare lettere: no al proporzionale e compattezza sull’elezione del Capo dello Stato.

Ma in ogni caso, al netto di audio rubati, di problemi e differenze che pur rimangono nella coalizione, c’ è un altro fatto che impedisce, almeno per ora, il ritorno al proporzionale: il no al momento del segretario Pd, Enrico Letta, come avevamo già scritto in una nota su Startmag, proprio perché gli viene attribuita l’intenzione, da lui stesso non esclusa, di tornare a Palazzo Chigi. E in questo caso, non potendo la sinistra occupare tutte le caselle, una figura super partes al Colle, come Mario Draghi, contrariamente a quanto lo stesso Letta ha finora detto e cioè che lo vorrebbe a Palazzo Chigi fino a 2023, potrebbe andar bene. Certamente Draghi, se non lo stesso Berlusconi ovviamente ancora di più,  potrebbe andar bene anche al centrodestra, in questo schema che resta bipolare, se la coalizione uscisse vittoriosa dalle Politiche del 2023.

Ma prevedendo il caso di una vittoria del centrodestra, sarebbe molto più probabile che la sinistra vorrebbe, come sempre,  una personalità da lei espressa come, ad esempio, Paolo Gentiloni sul Colle.

Comunque sia, ormai sia a sinistra, a parte alcune suggestioni da non sottovalutare di Goffredo Bettini, sia a destra di elezioni anticipate non si parla più. Lo stesso Salvini ha già detto che nel caso Draghi andasse al Colle, ci sarebbe un altro governo che porti avanti gli obiettivi di quello attuale di emergenza nazionale. Un esecutivo, dove come ammettono gli stessi dem, la sola presenza di Salvini è già di per sé un vero impedimento al ritorno al proporzionale, con formule “Ursula” all’italiana che vedrebbero nei sogni neo-centristi Lega e FdI magari a vita schiaffati all’opposizione.

Ecco perché anche ieri, pur alle prese con il processo di Palermo, che vedrà un po’ surrealmente anche la presenza come teste dell’attore americano Richard Gere, il leader leghista si è sentito al telefono con Berlusconi con il quale ha concordato un incontro tra tutti e 6 i ministri di Forza Italia e della Lega. E ha al tempo stesso ribadito di voler lavorare per portare anche FdI di Meloni a confronto con Draghi su tasse, lavoro, a partire dalla manovra di Bilancio. Salvini ha messo nei fatti le vesti del “federatore”, come lui stesso ha detto. Pur avendo finora i centristi o moderati di FI negato quella federazione di centrodestra di governo che l’ex ministro dell’Interno aveva proposto. Ma in politica spesso più che le formule contano i fatti.

Anche se Berlusconi oggi in un’intervista al Corriere della sera rilancia lui stesso come federatore, osservando che Meloni e Salvini “hanno profili troppo caratterizzati”. Ma certamente non sarebbe più il Cav se non rivendicasse il suo ruolo di federatore e fondatore dello stesso centrodestra. Mossa, insomma, da mettere in conto. In ogni caso, su una cosa Berlusconi è chiaro: respinge ancora più seccamente al mittente i “moderati” di casa sua: “Sono io che in Forza Italia detto la linea”. Cosa anche questa ancora più prevedibile per chi lo dovrebbe conoscere meglio di tutti nel partito che ha creato. Ed è sempre per la stessa ragione che Berlusconi tantomeno si vorrà far “comandare” in un nuovo centro da Renzi o Calenda.

Resta tutto l’oggettivo paradosso di un centrodestra dove per consistenza numerica FI viene dopo Lega e Fratelli d’Italia.

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