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Giorgetti

Chi la spara più grossa contro Draghi?

Giudizi, sentenze ed esagerazioni su Mario Draghi. I Graffi di Damato

 

Oltre alle proverbiali buone intenzioni a lastricare la strada dell’Inferno sono i meno proverbiali ma sbagliati paragoni. L’ho visto qualche giorno fa con quel pescaggio di Gian Carlo Caselli addirittura negli “anni di piombo” per trovare sulla Stampa qualcosa di simile agli “inquisiti eccellenti” che contestano oggi indagini e processi a loro carico. L’ho rivisto leggendo su Domani il buon Rino Formica pescare addirittura nel presunto tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese nella notte fra il 7 e l’8 dicembre del 1970 – presunto perché gli imputati, condannati in primo grado nel 1978, furono assolti in appello e in Cassazione – per trovare qualcosa di paragonabile al tentativo di portare al Quirinale Mario Draghi.

Come Borghese, forte non ricordo di quante guardie forestali convocate in via Salaria, misteriosamente rinunciò all’ultimo momento alla sua impresa fuggendo in Spagna, così Draghi si sarebbe sfilato dal progetto ideato per lui da improvvidi sostenitori prodigandosi all’improvviso e personalmente per la conferma di Sergio Mattarella. Che, risparmiandogli fughe chissà dove, lo ha a sua volta confermato a Palazzo Chigi col rifiuto delle dimissioni di rito del governo dopo la cerimonia parlamentare del giuramento.

Più leggevo l’articolo del mio amico Formica, vecchio e cristallino militante socialista, giustamente preoccupato – per carità – della cattiva salute dei partiti e dei danni derivanti alla democrazia, e più tornavo indietro per rileggere, non credendo ai miei occhi e non accontentandomi di riandare con la memoria alla spietata franchezza di Rino. Al quale dobbiamo immagini come quelle dei “nani e ballerine” di cui si affollò una volta il Comitato Centrale del suo Psi, o del “sangue e merda” cui la lotta politica era stata ridotta dai vecchi partiti della cosiddetta prima Repubblica.

Le guardie forestali di Borghese, e di chi stava dietro alle une e all’altro, avrebbero dovuto risolvere con una svolta autoritaria la stagione delle stragi latente da tempo ed esplosa il 19 dicembre del 1969 a Milano con la bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura.

L’elezione di Draghi al Quirinale in questo dannato 2022 avrebbe dovuto servire a spostare l’asse delle “garanzie” costituzionali dalla Presidenza della Repubblica al Governo, a capo del quale lo stesso Draghi avrebbe potuto mettere una specie di sua prolunga, nello schema del “semipresidenzialismo di fatto” evocato dal ministro leghista Giancarlo Giorgetti. Che Formica ha generosamente evitato di citare, ma cui penso si riferisse scrivendo del “mal sottile della soluzione autoritaria” che “preesiste ai personaggi che incarnano il momento della involuzione”: un “draghismo che preesiste a Draghi” e che “ritornerà” – ha ammonito Formica – se i partiti non ritroveranno la loro “anima democratica”, non bastando più “regolamenti di conti tra dirigenze fallite”.

L’”aquila romana” evocata ieri in un titolo su Repubblica mi ha fatto temere lì per lì che si volesse arrivare anche lì a Draghi e allo scampato, presunto golpe di una sua elezione al Quirinale. Ma si trattava per fortuna solo di una rievocazione di Ezio Mauro, tutta al passato, della conquista fascista del potere nel davvero tragico 1922.

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