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Chi ha vinto e chi ha perso con il mercato unico europeo. Report fondazione Bertelsmann

Il mercato unico non ha solo fatto scomparire frontiere e dogane nazionali ma ha anche portato più soldi nei portafogli degli europei ma ha ricalcato e accentuato i tradizionali punti di forza e di debolezza delle diverse economie regionali. Ecco le conclusioni di una ricerca della fondazione Bertelsmann "Stima dei benefici economici del mercato unico per i paesi e le regioni europei". L'approfondimento di Pierluigi Mennitti

Il mercato unico europeo costituisce il più vasto spazio economico del pianeta, creato con l’obiettivo di garantire al suo interno la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali. Ne fanno parte i 28 membri dell’Ue più Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein.

A poche settimane da un voto continentale enfatizzato come di importanza fondamentale per il destino dell’Ue, la fondazione tedesca Bertelsmann ha pubblicato uno studio per stimare cosa davvero la sua nascita abbia portato nelle tasche degli europei e quantificare gli effetti avuti sui redditi nelle diverse regioni.

Il risultato non è in sé una sorpresa: il mercato unico non ha solo fatto scomparire frontiere e dogane nazionali ma ha anche portato più soldi nei portafogli degli europei ma ha ricalcato e accentuato i tradizionali punti di forza e di debolezza delle diverse economie regionali.

TUTTI CRESCONO MA LE DIFFERENZE NAZIONALI E REGIONALI SONO ENORMI

Diseguaglianze che si avvertono già nel confronto nazionale ma che si apprezzano meglio in quello regionale, accentuando le disomogeneità tradizionali all’interno degli stessi Stati europei. I dati della fondazione tedesca stimano che l’esistenza del mercato unico porti complessivamente nelle tasche degli europei 420 miliardi in più all’anno, una cifra pari al 2,5% del Pil complessivo dell’Ue.

In media, ogni cittadino dell’Unione ha visto il proprio reddito crescere di 840 euro all’anno. Ma la media tradisce profonde disuguaglianze. A livello nazionale i primi tre paesi sono la Svizzera con una media di 2.914 euro, il Lussemburgo con 2.834 e l’Irlanda con 1.894. Ma, avvertono i ricercatori della Bertelsmann, in rapporto al potere di acquisto dei diversi paesi, è il Belgio la nazione che ha conosciuto l’aumento più alto (con un aumento del reddito relativo del 4,4%) seguito da Svizzera e Lussemburgo.

Nei primi dieci posti della classifica generale ci sono gli Stati scandinavi (Norvegia, Danimarca, Svezia e Islanda), Belgio, Austria e Olanda. Le due più grandi economie europee – Francia e Germania – si ritrovano all’undicesimo e dodicesimo posto rispettivamente con 1.074 e 1.046 euro annui (nella top 10 rientrano solo se si escludono i paesi extra-Ue), mentre per ritrovare l’Italia bisogna scendere al sedicesimo gradino tra i paesi il cui plus da mercato unico è sotto la media: 736 euro, dopo Gran Bretagna e Slovenia e prima della Repubblica Ceca e Spagna.

Le posizioni di coda della classifica sono appannaggio delle nazioni sud-orientali: il fanalino di coda è la Bulgaria con 193 euro all’anno, preceduta da Romania con 242, Polonia 382, Croazia 397 e Grecia con 401. Guardando i redditi relativi (particolare importante dato il differente livello dei redditi nell’Europa del sud e dell’est rispetto a quella occidentale) sono tuttavia Grecia e Cipro a segnare i risultati peggiori. L’area geografica è tuttavia la stessa.

COMPARAZIONE REGIONALE: TRE POLI DI TRADIZIONE, LE DEBOLEZZE SONO TUTTE A SUD E A EST

Come detto, le disuguaglianze risultano più marcate quando si passa al livello regionale, che è poi la specificità dell’analisi della fondazione Bertelsmann che ha messo a confronto le 283 regioni di cui si compone l’intera area del mercato unico europeo. A fronte di una crescita che ha toccato i 3.590 euro all’anno per i cittadini di Zurigo, di 2.700 per quelli di Londra (curiosamente due aree urbane appartenenti a Stati che, o non fanno parte dell’Ue o sono destinati a lasciarla a breve), e 2.470 per quelli di Bruxelles, vi sono regioni nell’Europa orientale, meridionale e balcanica (dalla Grecia alla Bulgaria, dalla Romania all’Ungheria, dalla Polonia ai Sud d’Italia e della Spagna) dove l’aumento dei redditi annuali oscilla fra i 100 e i 400 euro.

L’identikit dei vincenti del mercato unico è semplice e in qualche modo logico: regioni di piccole dimensioni, aperte ai traffici globali, con società dinamiche ed economie fortemente concorrenziali. In sintesi: il centro del continente batte le periferie, specie quelle meridionali. Osservando la cartina fornita dalla Bertelsmann, la geografia del benessere prodotto dal mercato unico europeo evidenzia tre poli: una lunga fascia orizzontale alpina che coinvolge Austria e Svizzera con sconfinamento in Baviera e Baden-Würrtemberg a nord e Alto Adige a sud; l’area Benelux attorno a Olanda, Belgio settentrionale e Lussemburgo; e la regione scandinava del Sud-ovest, lungo i grandi ponti che solcano il Baltico, tra la Danimarca e le provincie meridionali di Svezia e Norvegia. Qua e là spuntano altre aree di eccellenza: il Sudest dell’Irlanda, la regione di Helsinki, l’Ile de France con Parigi, Amburgo, la regione di Praga.

Piuttosto chiaro anche chi è rimasto indietro. Lungo la dorsale orientale da sud a nord, dalla Grecia alle Repubbliche baltiche, passando per Bulgaria, Croazia, Ungheria, Romania e Slovacchia (con eccezione della regione di Bratislava) gli aumenti dei redditi pro capite dovuti al mercato unico non superano i 400 euro, anzi spesso oscillano fra i 200 e i 350, con punte minime che superano di poco i 100 euro in Bulgaria, l’area meno dinamica. La stessa Polonia, ritenuta un esempio di crescita economica negli ultimi anni, non mostra risultati rilevanti e neppure la regione di Varsavia riesce a distinguersi come almeno fanno Praga e Bratislava rispetto a Repubblica Ceca e Slovacchia. E poi il Sud mediterraneo: l’estremo Mezzogiorno italiano – Calabria e Sicilia – e l’Andalusia spagnola. Entrambe queste aree ripercuotono le loro debolezze sui dati complessivi delle rispettive nazioni.

IL MERCATO UNICO EUROPEO HA CONFERMATO E ACCENTUATO I TRADIZIONALI SQUILIBRI ITALIANI

Più le regioni sono orientate all’esportazione, maggiori sono i guadagni nei redditi pro capite realizzati grazie al mercato unico. Anche la vicinanza geografica ai centri più dinamici aiuta. Non è un caso che in Germania, oltre alle ricche regioni del sud e ad Amburgo, siano le aree più a occidente a registrare successi, con l’area di Colonia e la fascia renana al confine con Lussemburgo, Belgio e Olanda (regioni trainanti) a guadagnare di più nella casella dei redditi relativi. Al contrario l’est tedesco, povero di aziende votate all’export, segna i risultati più modesti.
Tuttavia, l’est tedesco risulta più dinamico del Mezzogiorno d’Italia. Se Brandeburgo, Sassonia-Anhalt e Meclenburgo registrano una crescita annuale dovuta al mercato unico europeo attorno ai 700 euro, il nostro sud infila numeri largamente inferiori: Molise 492, Basilicata 488, Campania 432, Puglia 426, Sicilia 394 e Calabria 392. “In Italia le simulazioni confermano le già note differenze strutturali fra nord e sud – scrivono i ricercatori tedeschi – con il Mezzogiorno che oscilla fra i 300 e i 500 euro annuali e il nord dove si raggiungono i 1.372 euro nella provincia di Bolzano”.

Di tutto il nord, oltre all’Alto Adige che viaggia a ritmi “austriaci”, solo Valle d’Aosta, Lombardia e Trentino superano i 1.000 euro annuali di crescita dovuta al mercato unico. Il resto, dall’Emilia Romagna al Piemonte, dal Veneto al Friuli venezia Giulia, il livello si attesta poco al di sopra dei 900 euro. Roma rispecchia invece la media del paese: il Lazio fa segnare un plus di 764 euro annui.

 

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