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Javier Milei

Chi ha più paura di un nuovo default in Argentina?

L'Argentina rende pubblici tagli e proroghe per il pagamento del debito. I mercati finanziari preoccupati ma non disperati. Fmi, banche e fondi d'inversione resistono. L'approfondimento di Livio Zanotti, autore del “ildiavolononmuoremai.it”

Frenato il Covid19, il governo di Buenos Aires affronta ora l’assalto deciso anche se non all’ultimo sangue dei creditori, ai quali deve un totale di 117mila milioni di dollari. Impagabili alle condizioni a suo tempo convenute, dicono a Buenos Aires e riconosce da Washington il Fondo Monetario Internazionale (FMI), primo e più cospicuo creditore (47mila milioni). La trattativa, in piedi da mesi, è arrivata alla prima verifica pubblica. Ma sembra tutt’altro che conclusa. Poiché banche, fondi d’investimento e altri possessori privati del debito argentino sono assai meno disponibili del Fondo ad accettare tagli e dilazioni dei pagamenti.

Nel corso dei prossimi tempi supplementari sarà possibile anche verificare se l’annuncio di un’imposta straordinaria -una tantum- sulle grandissime fortune personali e non alle imprese, è un progetto concreto o una possibilità negoziabile su altri livelli fiscali e/o politici. Indubbiamente il governo ha bisogno assoluto e urgente di nuove e maggiori entrate. Il paese rischia il default (anzi tecnicamente vi è già dentro, in quanto non ha pagato una quota scaduta il mese scorso) e la pandemia ha spinto ancora più sotto la recessione in atto da un anno. Dall’inedita imposta che colpirebbe all’incirca 700 persone lo stato incasserebbe poco più di 3mila milioni di dollari.

Dopo attese e illazioni, ieri il capo dello stato, Alberto Fernandez, e il ministro dell’Economia, Martin Guzman, hanno presentato ufficialmente le condizioni alle quali l’Argentina e per essa il nuovo governo peronista, estraneo a gran parte dell’indebitamento, voluto e conseguito dal precedente gabinetto presieduto da Maurizio Macri, si impegnano ad onorarlo. Riguardano essenzialmente i creditori privati. Poiché il governo tende a dare per acquisita l’intesa con l’FMI, creditore istituzionale e dunque privilegiato, sebbene non se ne conoscano e forse neppure ne sono stati precisati ancora i termini.

Il debito sul comune mercato finanziario internazionale ascende a 68mila e 800 milioni. Sui quali l’Argentina chiede (ma con l’avvertenza che non garantisce nessun impegno a condizioni di maggiore onere), una riduzione del 62 per cento sugli interessi, mediamente dal 9,5 al 2,3 per cento, per un totale di circa 37mila milioni; e un taglio del 5,4 per cento in conto capitale, equivalente a 3mila e 600 milioni. I ratei di pagamenti comincerebbero a partire dal 2023, pertanto sono previsti anche 3 anni di grazia. E’ difficile che così concepito il piano venga accettato da consorzi e singoli risparmiatori, ma i margini di negoziali appaiono scarsamente elastici.

Né questo sembra un momento propizio perchè i fondi-avvoltoi -se anche questa volta ve ne sono- assumano la guida dei risparmiatori come avvenne nel default del 200. Quindi almeno in questa prima fase si presume che accetteranno e anzi insisteranno per estendere la trattativa. E sarebbe una sorpresa se un Presidente fin qui apparso un devoto del dialogo e della persuasione come metodo la rifiutasse. I primi segni sembrano inoltre accompagnare quest’ipotesi. I buoni argentini a 10 anni sono stati commercializzati nelle ultime ore al 30 per cento del loro valore nominale. Mentre il rischio-paese è rimasto sui 4000 punti, che implicano una tassa d’interesse che al netto dell’inflazione si aggira attorno al 10 per cento.

Convocata dall’orgoglio nazionale (per malinteso o malizioso che possa apparire a certi creditori), il governo si presenta sostenuto da grandissima parte dell’opinione pubblica, come testimonia l’approvazione di quasi tutti i governatori, tra i quali anche strenui oppositori. Il Fondo, di buona voglia o meno, ha dato e ripetuto ufficialmente il suo avallo (del resto la Sra. Lagarde per indebitare l’Argentina e compiacere Donald Trump, che per amicizia personale verso l’allora presidente Macri la sollecitava energicamente, ha trascurato più d’un protocollo). Non sembra probabile che per regolare la questione qualcuno voglia sfoderare il coltello.

Livio Zanotti

“ildiavolononmuoremai.it”

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