Ormai i giochi sono stati fatti, anche se la nuova Commissione esecutiva dell’Unione Europea dev’essere ancora formata e formalizzata dalla presidente Ursula von der Leyen, confermata su designazione del Consiglio europeo dopo le elezioni di giugno ratificata dal Parlamento di Strasburgo. Una Commissione peraltro nella quale l’Italia sarà probabilmente rappresentata da un vice presidente provvisto di sostanziose deleghe, nonostante l’isolamento profetizzato, se non addirittura auspicato, dalle opposizioni per il voto contrario alla pur amica presidente fatto esprimere dalla premier Giorgia Meloni agli europarlamentari conservatori del proprio partito.
CHE COSA SUCCEDE IN EUROPA
I giochi, dicevo, sono fatti. Eppure nel vedere le immagini televisive e fotografiche della presentazione del suo rapporto sulla competitività di cui l’Unione Europea avrebbe bisogno per stare al passo dei tempi e non entrare in agonia, nell’ascoltarne alcuni passaggi e nel leggerne le sintesi giornalistiche non si poteva non rimpiangere l’occasione mancata di una presidenza eccezionale della Commissione come sarebbe stata quella di Mario Draghi. Che fu prospettata prima delle elezioni di giugno ma rapidamente scartata dalle cosiddette cancellerie considerandola troppo tecnica, politicamente non commestibile, diciamo così. Bisognava rispettare i partiti, i voti che avrebbero conseguito e i rapporti che ne sarebbero derivati.
IL PIANO DI DRAGHI
Ad una soluzione eccezionale per tempi e problemi eccezionali, da investimenti per 800 miliardi di euro l’anno, si è insomma preferita una soluzione ordinaria, direi politichese, con tutto il rispetto personale e istituzionale che merita, per carità, la presidente tedesca confermata per il Partito Popolare che rappresenta, che ha conseguito il maggior numero di voti e di seggi e che l’ha sostenuta replicando praticamente lo scenario precedente alle elezioni. Uno scenario preferito ad ogni altro soprattutto dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron e dal cancelliere della Germania Olaf Scholz.
LE PENE DI MACRON
Eppure Macron è alle prese con una situazione politica nel suo Paese che è, a dir poco, confusa e incerta, per quanto allo scopo di renderla chiara e stabile egli abbia sciolto anticipatamente il Parlamento, aperto a sinistra per impedire alla destra di vincere e nominare presidente del Consiglio un uomo al quale solo la destra può praticamente consentire di rimanere in carica nell’anno che dovrà passare prima che il presidente possa ricorrere ad altre elezioni anticipate.
I PROBLEMI DI SCHOLZ
Scholz, dal canto suo, è appena uscito da elezioni locali peggio ancora che dalle elezioni europee di giugno, sorpassato e umiliato da una destra nibelungica di fronte alla quale potrebbe sembrare di sinistra la destra italiana vista con pubblico fastidio dal cancelliere, pur avendo nello scorso anno sottoscritto con la Meloni un patto di amicizia e cooperazione tra i due paesi già partecipi e cofondatori dell’Unione Europea.