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Chi esce più malconcio dal voto del Senato su Salvini

L'Aula del Senato ha autorizzato il processo all'ex ministro Matteo Salvini per la vicenda Open Arms. La Nota politica di Francesco Damato

Nonostante l’autorizzazione a procedere appena concessa dal Senato con 149 voti contro 141, non si può ancora dare per certo un processo all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per la vicenda della nave spagnola “Open Arms”. Dove circa 150 migranti, soccorsi a più riprese in mare, furono trattenuti a bordo in agosto di un anno fa per una ventina di giorni in acque italiane, con divieto di approdo e di sbarco.

Esaurite le procedure del cosiddetto tribunale dei ministri, intervenuto nella fase preliminare delle indagini per la tutela prevista dalla Costituzione quando finiscono sotto inchiesta azioni appunto di un ministro, la magistratura ordinaria di Agrigento potrebbe in teoria – molta teoria, direte – non ravvisare gli estremi per rinviare a giudizio il leader della Lega, accogliendone gli argomenti a difesa respinti invece col loro voto dalla maggioranza dei senatori.

Se però si dovesse arrivare al processo, non so francamente chi avrebbe più motivo di temerlo o sul piano giudiziario o sul piano politico, o su entrambi. Su entrambi, oltre a Salvini, potrebbe avere qualche timore il presidente del Consiglio. Che d’altronde l’ex ministro si è già proposto di trascinare in giudizio contestandone la pretesa estraneità alla gestione di quella vicenda sviluppatasi in coincidenza con la crisi e dissoluzione della maggioranza gialloverde.

Agli atti risulta solo una lettera a Salvini in cui Conte gli intimava di fare sbarcare i minorenni, scesi poi effettivamente dalla nave. Per il resto dei migranti che vi erano bloccati il presidente del Consiglio informò il ministro dell’Interno dei contatti in corso a livello europeo per una loro distribuzione, conformemente ad altre vicende analoghe, a cominciare da quella relativa alla nave “Diciotti” della Guardia Costiera nel 2018. Che finì anch’essa sotto le lenti della magistratura con una richiesta di autorizzazione negata però dall’allora maggioranza gialloverde, pur tra i mal di pancia dei grillini superati con una consultazione digitale dei militanti e iscritti alla piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio. Essi riconobbero che lo sbarco dei migranti era stato “ritardato” per giusti motivi, non impedito.

Sul piano politico chi rischia di pagare di più un eventuale processo a Salvini per l’affare “Open Arms” è Matteo Renzi, che francamente esce dal passaggio parlamentare come peggio non poteva guadagnandosi – una volta tanto – il plauso del Fatto Quotidiano per avere colpito il “pugile suonato” della Lega. I voti renziani sono stati determinanti quando sono mancati in giunta facendo bocciare la richiesta della magistratura sia quando sono arrivati in aula a favore dell’autorizzazione contro il “capitano di sventura”, secondo la definizione del Manifesto.

I voti renziani stati annunciati e motivati da Renzi in persona, che non ha ravvisato nella gestione di quell’affare l’”interesse dello Stato costituzionalmente rilevante” né “il perseguimento di un preminente interesse pubblico” richiesti da un’apposita legge costituzionale per sollevare un ministro nell’esercizio delle sue funzioni dalle responsabilità penali e sottrarlo a un processo. Ma è anacronistico, a dir poco, non vedere un interesse superiore o rilevante della collettività nazionale nella distribuzione dei migranti fra i diversi paesi d’Europa, di cui i nostri porti hanno l’inconveniente di essere la frontiera meridionale.

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