Mentre la Francia è in fibrillazione per il non improbabile trionfo del Rassemblement National anche al secondo turno delle legislative, gli analisti si interrogano sulle ragioni profonde del terremoto politico lepenista, che però secondo tutto può rappresentare fuorché una sorpresa. Ecco come l’esito del primo turno è stato commentato, anche dal punto di vista socio-economico, da politologi, esperti di geopolitica e scrittori,
La Francia a destra
“Al secondo turno, il 7 luglio, si confermerà la vittoria del Rassemblement national”. Ne è convinto Yves Meny, politologo francese, studioso delle istituzioni pubbliche e della costruzione europea, perché, a suo dire, “la Francia è sociologicamente di destra, e in questo momento non c’è dubbio che il vento soffia in questa direzione”.
“Abbiamo assistito – ha spiegato il politologo francese oggi al Corriere della sera – a un trasferimento dell’elettorato dai partiti comunista e socialista verso” quel Rassemblement National che oggi, secondo il politologo, “è il movimento più popolare in Francia, il più operaio”.
Avanzata
Al Corriere parla anche, mappa dei risultati alla mano, Béatrice Giblin, direttrice dell’Istituto di geopolitica dell’Università di Paris VIII e della storica rivista Hérodote.
«Resiste all’avanzata – commenta – solo il cuore della grandi città: Parigi, Tolosa, Bordeaux, Nantes…: elettori che hanno studiato, hanno un lavoro stabile e uno stipendio dignitoso».
Il resto del territorio è riserva del RN. «La campagna bretone ha votato tutta per il Rassemblement National; Pas-de-Calais, Aisne, Lot-et-Garonne, Vaucluse: ci sono dipartimenti in cui l’estrema destra potrebbe prendere tutti i deputati».
La lezione.
Qual è la lezione invece secondo Jacobin di questo primo turno delle legislative francesi?
La lezione è che l’establishment politico non ha affatto paura di quel che succederà molto probabilmente domenica prossima, ossia la definitiva vittoria dell’RN e l’inizio della coabitazione tra il probabile premier lepenista Bardella e il presidente Macron.
Una campagna mainstream.
Il merito, stando allo storico inglese David Broder, redattore per l’Europa della rivista Jacobin, è da attribuire almeno in parte ai toni insolitamente morbidi usati da Bardella prima e durante la campagna elettorale, che lo hanno visto caratterizzare il suo partito non come una mina vagante pronta a sfasciare tutto ma come l’avanguardia di una più ampia coalizione di destra che mirava addirittura a farsi garante dell’unità nazionale.
La promessa di Bardella di “rimettere in piedi la Francia” ha segnalato l’intenzione da parte di un suo futuro governo di difendere il Paese in tutte le sedi che si chiamino esse Ue o Nato.
Ma lo ha fatto, precisa la rivista, senza proclamare l’intenzione di usare l’ariete e dunque di irradiare onde devastanti.
I temi economici.
Messa nel cassetto la terrificante Frexit, nelle materie economiche Bardella si è adoperato soprattutto per respingere l’impressione che i suoi piani di spesa fossero insostenibili.
Malgrado la difficoltà a sconfiggere lo scetticismo degli imprenditori, il delfino di Marine è stato abile nel presentare quegli stessi piani come il viatico per ottenere l’agognata giustizia sociale, da intendersi da un lato a beneficio dei francesi autoctoni e dall’altro a detrimento di quei migranti che usano lo Stato come un “ufficio per i benefit”.
Appartiene a questa categoria la promessa di istituire un “ministero per la prevenzione delle frodi” che avrà il compito di stanare e punire i furbetti di tutte le etnie.
Con gli occhi puntati su quei ceti medi e inferiori considerati abbandonati dai partiti tradizionali, l’RN ha gettato poi sul piatto una serie di esenzioni fiscali e tagli di tasse incluso il problematico abbassamento dell’Iva sui carburanti.
L’occhiolino al business.
Malgrado il partito si sia sempre rifiutato di collocarsi a sinistra o a destra dello spettro politico, in campagna elettorale sono stati ripetuti gli ammiccamenti alle politiche economiche che piacciono ai conservatori.
Il colpo più riuscito è stato forse quello sferrato da Bardella al premier Attal durante un dibattito televisivo in cui l’ha messo in croce per aver creato “il più grande debito pubblico dell’Ue”.
E anche a proposito dell’altra perplessità del mondo degli affari, ossia l’annunciata volontà di azzerare la riforma delle pensioni di Macron, sono stati lanciati numerosi segnali di moderazione e di rinuncia alle più nefaste velleità.
Il regalo di Macron.
Ma forse l’assist decisivo ai lepenisti l’ha dato quella loro nemesi chiamata Macron che secondo Jacobin tanto nemesi proprio non è.
Saldamente impegnato a differenziare la propria proposta politica da quella di una sinistra considerata compromessa con le posizioni più radicali in materia di immigrazione e multiculturalismo, nei suoi sette anni al potere Macron ha nutrito una autentica ossessione per i temi dell’identità e della sicurezza, ribadendo in più occasioni la minaccia costituita dal “separatismo” islamico.
E qua Jacobin ha buon gioco a rilevare la convergenza ideologica con un RN che della lotta all’Islam ha fatto il proprio mantra e feticcio anche facendosi paladino dell’ormai famosa e deprecata teoria della grande sostituzione.
Si tratta però alla fine solo di una questione di sfumature se anche i ministri di Macron hanno fatto ricorso a espressioni come “Islamo-gauchisti” per demonizzare i comuni rivali della France Insoumise di Mélenchon.
La controegemonia.
La conclusione del Jacobin è che il trionfo di Bardella e Le Pen è da attribuire in larga parte all’abilità di costruire una sorta di “controegemonia” avvalendosi anche dell’aiuto di chi, pur fuori dal partito, ha nutrito gli stessi filoni ideologici.
Il risultato lo si può misurare dai dati di un sondaggio Ipsos che mostrano il sorpasso dei voti lepenisti su quelli attribuiti al Nuovo Fronte popolare tra i ceti popolari e in particolare tra una classe operaia dove più del 50% ha votato per l’RN.