Nel gennaio 2019 una professoressa di Legge di San Francisco, Lara Bazelon, scrisse sul New York Times un op-ed devastante contro Kamala Harris, che allora era candidata alle primarie per diventare presidente. L’editoriale faceva a pezzi l’immagine che Kamala Harris amava dare di sé, quella del “procuratore progressista”. Inserita nel meccanismo della legge, ma con idee sue che contribuivano a rendere il sistema migliore e più umano.
La Bazelon scriveva invece che Harris non è per nulla progressista, e portava una serie di argomenti non senza un certo rancore: non si opponeva alla pena di morte, non aveva tentato di rimediare a clamorosi errori processuali che tenevano gente innocente in galera e ogni volta che arrivava il momento di fare una scelta di politica progressista si asteneva – in particolare su una legge che permetteva di punire persino con la detenzione i genitori di studenti che saltavano la scuola. L’accusa era: Harris non è un’eroina antisistema, fa parte del sistema e ne approva gli aspetti peggiori. Quel singolo articolo è poi diventato la madre di tutte le critiche da sinistra contro Kamala Harris, riassunte nello slogan: Kamala is a cop. Kamala è un poliziotto.
Roba che suonava brutta per un settore di elettori democratici nel 2019, figurarsi adesso nel 2020 mentre il paese è spaccato dall’uccisione di George Floyd davanti ai telefonini dei passanti su un marciapiede di Minneapolis.
Stare in equilibrio in quel ruolo di procuratore nera, prima distrettuale e poi statale, in California – lo stato con le idee più liberal della nazione, ma anche uno stato da cinquanta milioni di persone e metropoli come Los Angeles – è stato complicato per Harris. Durante la sua prima campagna elettorale, per diventare procuratore a San Francisco, era considerata molto di sinistra, una che non aveva paura di affrontare i poliziotti se pensava che avessero fatto qualcosa di sbagliato. Ma poi c’è stata una svolta, che spiega il suo appiattimento come procuratore negli anni successivi.
La data della svolta è il 10 aprile 2004. Un poliziotto in borghese di 29 anni, Isaac Espinoza, durante un turno straordinario di lavoro, quando invece doveva essere già a casa, vede un sospetto, prova a fermarlo, quello si gira, ha in mano un fucile d’assalto Kalashnikov, spara una raffica e lo ammazza. Espinoza aveva una moglie e una figlioletta di quattro anni, è il primo poliziotto ucciso in servizio in dieci anni, l’assassinio riscuote un’attenzione enorme.
Negli anni successivi Harris diventerà molto cauta quando si tratta di prendere posizione. E spesso la cambierà. Nel suo libro del 2009 scrive che ci vorrebbe più polizia nelle strade perché tutti i cittadini rispettosi della legge si sentono più sicuri quando vedono più agenti, ma quest’anno ha detto al New York Times che volere più poliziotti nelle strade è una cosa da status quo, molto sbagliata.
E’ ovvio che quando la squadra del candidato democratico, Joe Biden, ha deciso di valutare e approvare la scelta di Harris come vice conosceva tutte queste cose. Sa che sarà una vice antipatica all’ala radicale del partito e che su Twitter c’è molta gente scatenata contro di lei. Ma Biden è arrivato sin qui perché ignora le mille frecciatine su Twitter e parla a un pubblico molto più ampio. Questa sua posizione gli ha permesso di demolire gli altri candidati, inclusi quelli più radicali, durante le primarie.
Se il ragionamento è questo, il profilo di Kamala potrebbe essere quello giusto per un pubblico che vuole essere rassicurato.