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Giorgetti

Chi assalta sempre e comunque Giorgia Meloni

 Sono davvero un caso le parole di Meloni sulle Fosse Ardeatine? I Graffi di Damato

 

Ignorata non a caso – credo – in prima pagina dal Corriere della Sera, dal Messaggero, dal Giorno, Resto del Carlino e Nazione, del gruppo Riffeser Monti, Il Mattino, Il Gazzettino, Avvenire e da altri giornali ancora, fra i quali persino Il Fatto Quotidiano – che non le ha dedicato neppure “la cattiveria” di giornata – la polemica dell’associazione dei partigiani contro la Meloni per avere considerato solo “italiani”, e non anche antifascisti ed ebrei, le 335 vittime delle Fosse Ardeatine nel 79° anniversario dell’eccidio nazista è stata sventolata come bandiera sulla Repubblica – “Meloni riscrive la storia” – ed altre testate.

Si va, in particolare, dall’”oltraggio” contrapposto dalla Stampa al “ricordo” del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, protagonista della cerimonia commemorativa, alla “Memoria nera” del manifesto e al rimbrotto del Riformista di Piero Sansonetti, con la domanda “An-ti-fa-scisti: Giorgia, l’ha mai sentita questa parola?”.

Più sobriamente, ironicamente o come preferite, al Foglio se la sono cavata con una vignetta nella quale si fa dire alla Meloni, ancora a Palazzo Chigi in una delle prossime ricorrenze dell’eccidio, che questi 335 martiri delle Fosse Ardeatine furono “rastrellati da migranti armati e poi trucidati solo perché gli piaceva la pastasciutta invece dei bacherozzi fritti”. Chissà se la squadra di Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa è riuscita a strappare un sorriso agli indignati, esplosi come una bomba ad orologeria alla lettura del messaggio inviato dalla Meloni, ieri mattina ancora a Bruxelles, per unirsi idealmente al Capo dello Stato.

Come tutte le frittate, la polemica della sinistra partigiana in servizio permanente ed effettivo – cui niente, proprio niente di quello che dice la Meloni andrà mai bene, neppure quando dirà alle ore 12 che siamo in pieno giorno – ha finto per essere rovesciata e ritorcersi contro chi l’ha innescata. “Quegli italiani fucilati per colpa dei partigiani”, ha titolato Alessandro Sallusti su Libero, convinto di dire “la verità su via Rasella”. “La sinistra”, non quindi la Meloni, “spacca l’Italia”, ha titolato il Giornale, come forse avrebbe fatto anche la buonanima del fondatore Indro Montanelli.

Ma soprattutto sulla Stampa – che per fortuna non ha spostato all’interno la rubrica quotidiana di Mattia Feltri – sono stati ricordati come peggio o meglio, secondo i gusti, non si poteva “i tempi che furono”: in particolare, il giorno dell’autunno 1944 in cui nella Roma liberata una folla inviperita scambiò per un fascista fanatico il direttore del carcere di Regina Coeli, Donato Carretta, apprezzato invece dall’insospettabile Pietro Nenni, e lo linciò per strada, cercò di farlo tagliare vivo sotto le ruote di un tram – il cui conducente si rifiutò salvandosi dalle bastonate solo esibendo la sua tessera d’iscrizione al partito comunista – e infine gettò ancora vivo il poveretto nel Tevere. Dove altri saltarono su barche e lo finirono a colpi di remi.

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