skip to Main Content

Che cosa succederà fra Lega e Forza Italia?

Il cantiere della federazione Lega-Forza Italia visto da Paola Sacchi

 

Nonostante il paragone venga facile, il “Predellino” racconta un’altra storia e un’altra fase delle “sette vite” del Cav.

Era il giro di boa per il terzo e ultimo ritorno a Palazzo Chigi da premier. Evocarlo ora per paragonare la fusione nel Pdl di Forza, Italia, An all’ipotesi di una federazione tra FI e Lega rischia di essere una formula un po’ di maniera, perché stavolta l’operazione avverrebbe a parti rovesciate e cioè con una Forza Italia non più primo partito del centrodestra.

Che poi Silvio Berlusconi abbia sempre rappresentato e rappresenti tuttora un “valore” liberale, federatore, che non si può quantificare in termini di voti, i quali nel suo caso non si contano ma si pesano, è un fatto ancora oggi, a distanza di 27 anni dalla sua discesa in campo.

Ma i numeri certificano intanto che il primo partito, seppur insidiato nel sondaggi da Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, è la Lega di Matteo Salvini. Il quale oggi ha di fatto, federazione o non federazione, gruppi unici o meno, di fronte a sé una grande nuova sfida, quella non solo di tenere alta la bandiera della sua Lega ma anche di diventare un leader sempre più unificante di uno schieramento che, al di là della distribuzione dei consensi alle forze in campo, stacca nettamente la sinistra e i Cinque Stelle di vari punti.

A Salvini va riconosciuto uno sforzo in questi ultimi due anni di essersi lanciato anche in campi cosiddetti di “centro”, se lo intendiamo in senso pragmatico e non con la vecchia accezione del “moderatismo” di democristiana memoria, fino ad imbracciare la battaglia per la riforma della giustizia, su quesiti come la separazione delle carriere, insieme con i Radicali, storicamente lontani da lui. E, comunque, la scelta di entrare nel governo Draghi parla da sola del percorso che il leader leghista in questi anni ha fatto. Anche in direzione di un europeismo che più che sovranismo è battaglia per far prevalere l’interesse nazionale.

I detrattori ne ravvisano contraddizioni che certamente ci sono e andranno risolte a livello europeo. Ma è un fatto che Salvini dopo il Papeete non è rimasto fermo. E soprattutto nella sua Lega ha cercato di mantenere la cifra originale: il radicamento nel territorio.

Certe percentuali e vittorie, ad esempio, non sarebbero state possibili senza che la Lega riuscisse a parlare anche a quel ceto medio, medio alto, che chiede riduzione della pressione fiscale, controllo dell’immigrazione, ripartizione per quote a livello europeo. Cosa quest’ultima di cui il premier Draghi si è fatto alfiere, fin dal suo discorso di insediamento.

Sono temi e battaglie, magari con toni differenti, portati avanti anche da Forza Italia. È comprensibile la reazione critica che ci sarebbe stata ieri, secondo le indiscrezioni riportate dalle agenzie di stampa, di esponenti governativi di FI come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, alle parole di apertura da parte di Berlusconi rispetto all’ipotesi della federazione.

L’orgoglio azzurro non va sottovalutato. E d’altro canto da fonti della Lega si è tenuto subito a precisare: “Nessuna annessione, ma collaborazione, ognuno con la sua storia, unità a fianco di Draghi”.

Ma è anche un fatto che in questi anni Forza Italia non ha messo mano a certe carenze nel radicamento sul territorio alle quali in alcuni casi è stata proprio la Lega a far fronte.

Nell’era in cui tutto sarebbe “liquido”, tutto avverrebbe tramite social, i banchetti, i comizi, la presenza fisica tra gli elettori in carne ed ossa invece contano ancora. E, comunque, come ha detto il coordinatore nazionale azzurro e vicepresidente di FI, Antonio Tajani, è forse quasi un “miracolo” che un partito con un leader oggetto di decine e decine di processi, fatto decadere in parlamento con l’applicazione retroattiva di una norma, sia ancora in piedi.

Ma a questo punto non c’è dubbio che l’avvicinamento della Lega al Ppe, avvicinamento fino all’ingresso, declinato nei modi e nelle forme che il leader leghista intenderà scegliere, oggettivamente diventa una tappa fondamentale della sfida che si pone davanti a Salvini per il ruolo di leader riconosciuto del nuovo centrodestra.

Back To Top