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Che cosa succede nella maggioranza di governo?

Perché le mosse della Lega sono al centro del dibattito politico. La nota di Paola Sacchi

 

“Giancarlo Giorgetti ed io, secondo i giornali, imbarazzati di fronte alla decisione di Salvini? Tutte ca… te! “. Massimo Garavaglia, ministro del Turismo, leghista bocconiano, ovvero l’altro uomo forte della Lega al governo insieme con il ministro dello Sviluppo Economico e la ministra alla Disabilità Erika Stefani, mentre sfreccia per il cortile di Montecitorio, dribblando i giornalisti, liquida con la cronista in modo sonoro, tranchant ma anche un po’ divertito, la ormai automatica narrazione della stampa mainstream dei soliti sospetti sulle divisioni nella Lega, nello strenuo tentativo al solito di fare una divisione tra “buoni” e cattivi, anzi un solo “cattivo”, ovvero lo stesso leader Salvini.

Un copione molto vecchio ormai, coltivato da anni a sinistra, che però sta mostrando sempre più la corda. Garavaglia insieme con Giorgetti probabilmente avrà anche un po’ sorriso, come altre volte, di fronte a certi retroscena dal sapore di “stessa spiaggia stesso mare”, che ieri sembravano quasi delle fotocopie ingiallite delle ricostruzioni uscite durante l’estate del “Papeete”. Ma non sono più tempi di narrazione da stessa spiaggia stesso mare.

Il leader leghista, in un partito strutturato da sempre in modo tale che sia uno solo alla fine a fare la sintesi, ha plasticamente dimostrato, con la riunione webinar ieri mattina di tutto lo stato maggiore, a partire dal territorio rappresentato dai governatori, che quella di non votare in consiglio dei ministri il decreto sulle riaperture è una decisione di tutto il partito. Ma Salvini ha anche sottolineato, come del resto aveva già fatto ieri, che la Lega non intende affatto mollare il governo Draghi. “Se lo scordino!”, avrebbe detto durante la riunione della segreteria rispetto a eventuali desideri di Pd e 5s di buttar fuori la Lega dalla maggioranza. “Se lo scordino”, dunque, tanto per chiarire che non ci sarà nessun “Papeete” o “mini-Papeete”. E che quindi, nonostante il dissenso sul coprifuoco, per lui Mario Draghi non è Giuseppe Conte.

Il leader leghista sottolinea anzi di aver sentito al telefono il premier più volte e di essere già al lavoro per un altro decreto volto a far ripartire in sicurezza il Paese, a farlo rivivere. Ma ribadisce anche che scelte a scatola chiusa la Lega non le accetta e se fa osservare “che è stato commesso un errore” è per un atteggiamento con spirito “leale, come fa un amico”. Sottolinea anche che con lui è l’Italia delle organizzazioni di categoria, del lavoro autonomo, dell’imprenditoria diffusa. E rispetto a chi lo incalza sul fatto di subire la competizione dell’alleata Giorgia Meloni, rimasta all’opposizione, Salvini non manca di riservare una frecciata a Fratelli d’Italia, rivendicando ancora una volta la sua scelta di entrare al governo e di restarci: “Se avessimo scelto di stare fuori alla finestra a protestare avremmo avuto zero possibilità di incidere sulle scelte”.

Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova, prima ancora di Cittadella, uno degli amministratori simbolo della Lega, ora responsabile per il partito delle Attività produttive, sottolinea con la cronista il senso della “lealtà” verso Draghi di Salvini. Ribadisce Bitonci che dietro la richiesta di far scattare il coprifuoco almeno alle 23 c’è una precisa scelta di dare un segnale alle categorie in sofferenza: “Per un ristoratore quella che viene liquidata solo come un’ora è invece decisiva per non saltare almeno un turno di lavoro. Sarebbe anche un modo per non concentrare il lavoro tutto insieme e allora sì che si rischierebbe di creare un effetto assembramento. Del resto, perché non ci sono già in certe file al supermercato o nei bus? E quelli non sono rischiosi? “.

Alessandro Cattaneo, il giovane capo dei dipartimenti di Forza Italia, che pur essendo per le riaperture alla fine non ha seguito la Lega nel non voto in Consiglio dei ministri, riconosce però che ora” sul coprifuoco vanno fatti correttivi e miglioramenti”. Cosa che del resto afferma lo stesso coordinatore nazionale azzurro Antonio Tajani.

Il segretario del Pd Enrico Letta avverte, invece, che la Lega non può continuare a fare il partito di lotta e di governo. Salvini tranchant afferma che lui non vuole rispondere a chi ha indossato “la felpa (Open Arms) di chi mi vorrebbe vedere in galera”. E del resto che quello di Letta “non è stato un gesto distensivo” lo riconosce con obiettività anche un giornalista come Alessandro De Angelis, di area di sinistra, vicedirettore dell’Huffington Post. Uno dei pochi che, nel mainstream, si stacca dal coro su certi “automatismi” nella narrazione su Salvini, pur non risparmiando critiche al leader leghista.

Quanto alla richiesta perentoria da sinistra a Salvini di scegliere tra lotta e governo, sorge però spontanea una domanda che rimanda a un passato a sinistra un po’ dimenticato, seppur non lontanissimo. Qualcuno si ricorda il secondo governo di Romano Prodi, quello dell’Unione, con ministri della sinistra più radicale che andavano addirittura in piazza contro lo stesso premier? E pensare che quello era il governo di una sola parte politica.

Alla fine sulle richieste leghiste e di quelle delle stesse Regioni il governo Draghi apre a una mediazione.

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