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Petrolio IRAN

Che cosa succede in Iran tra elezioni e Coronavirus

Cosa ha convinto quattro cittadini su dieci, e addirittura tre su quattro nella capitale, a disertare le urne in Iran? Il racconto di Alberto Zanconato (Ansa) tratto da Affari Internazionali

Ho lasciato l’Iran domenica, con uno degli ultimi voli disponibili della Turkish Airlines prima che anche la Turchia chiudesse la sua frontiera e sospendesse i collegamenti aerei con l’Iran, aumentando il senso di isolamento del Paese. Non appena arrivato in Italia sono stato messo in quarantena a casa per due settimane. E’ la procedura prevista per chi arriva da zone ad alto rischio di coronavirus, e la Repubblica islamica è ormai considerata tale. Non solo per il numero di casi mortali, ormai il più alto al di fuori della Cina, ma anche per la confusione che regna in termini di informazione, con la circolazione di voci di ogni tipo e accuse al governo di avere sottovalutato la crisi o di avere ritardato volontariamente l’allarme.

CORONAVIRUS ED ELEZIONI

L’epidemia diventa così l’ultimo motivo in ordine di tempo delle proteste nei confronti delle autorità, e anche argomento di contesa tra diverse anime di questo complesso sistema politico. Tutto questo solo qualche giorno dopo le elezioni parlamentari del 21 febbraio, segnate da un’astensione di protesta che ha provocato la più bassa affluenza alle urne dopo la rivoluzione del 1979: solo il 42 per cento degli aventi diritto ha votato in tutto il Paese, con un minimo del 25 per cento a Teheran. La bassa partecipazione, come avviene normalmente, ha favorito i conservatori e gli ultraconservatori, che si sono assicurati il controllo quasi assoluto del nuovo Parlamento, dopo quello dominato da una coalizione di conservatori moderati, indipendenti e riformisti che sosteneva il governo del presidente Hassan Rohani.

Cosa ha convinto quattro cittadini su dieci, e addirittura tre su quattro nella capitale, a disertare le urne? Non tanto la paura del coronavirus, anche se la presenza in Iran della malattia era stata resa nota solo due giorni prima del voto, con la notizia che due persone erano morte nella città santa di Qom. Lo scarsissimo entusiasmo per questa consultazione era già parso evidente nei giorni precedenti, con una campagna elettorale apatica, contrassegnata per la prima volta dalla quasi assenza per le vie di Teheran di fotografie dei candidati e simboli di lista.

ALL’ORIGINE DELL’ASTENSIONISMO

A giocare un ruolo determinante è stata la delusione per la mancata realizzazione delle promesse del moderato Rohani, eletto trionfalmente nel 2013 e rieletto nel 2017 sulla base di un programma di liberalizzazioni interne e una distensione con l’Occidente che avrebbe dovuto favorire un nuovo sviluppo economico del Paese. Ad impedirlo sono state ovviamente in gran parte l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare del 2015 e la reintroduzione di pesanti sanzioni che stanno strangolando l’economia iraniana. Ma tanti comuni cittadini denunciano come fattori concomitanti decisivi il malgoverno, la corruzione, il nepotismo, l’appropriazione di denaro statale da parte dei detentori del potere. Cavalli di battaglia anche di molti candidati conservatori che li hanno usati contro il governo di Rouhani.

Altro fattore decisivo nel favorire l’astensione è stata la bocciatura da parte del consiglio dei guardiani, organo conservatore, di molte candidature, in particolare degli esponenti più in vista tra i riformisti, compresi 75 deputati uscenti. E, soprattutto, una diffusa sfiducia nei confronti delle autorità in seguito a due eventi tragici degli ultimi mesi: la repressione violenta delle proteste di novembre per il caro benzina, con la Repubblica islamica che non ha ancora fornito un bilancio dei morti, e l’abbattimento in gennaio del boeing ucraino con 145 iraniani a bordo, ammesso da Teheran solo dopo tre giorni. Episodi citati anche dal ministro dell’Interno, Abdolreza Rahmani-Fazli, per spiegare la bassa affluenza.

NON C’È FIDUCIA A TEHERAN

Proprio questa crisi di fiducia sembra essere oggi all’origine dell’ondata di paura che ha investito il Paese a causa del coronavirus. Molti non si fidano delle assicurazioni di massima trasparenza date dal governo, e accusano le autorità di avere nascosto per diverso tempo la realtà della situazione per non frenare la partecipazione popolare alle manifestazioni per l’anniversario della rivoluzione, l’11 febbraio, e poi alle elezioni. Le critiche riguardano anche la decisione di mantenere un collegamento diretto con la Cina – ora sospeso – della compagnia Mahan.

Ma la diffusione della malattia è diventata anche argomento di scontro tra i diversi schieramenti politici. Un deputato ultraconservatore di Qom, Ahmad Amirabadi Farahani, ha accusato il governo di Rohani di avere mentito al popolo, affermando che solo nella città santa, 150 chilometri a sud di Teheran, le persone decedute erano 50 fino a domenica sera. Pronta la smentita dell’esecutivo, il quale ha affermato che i morti accertati sono 12 e ha promesso la massima correttezza nell’informare i cittadini. Ma non sarà facile ricostituire una fiducia che negli ultimi mesi ha subito colpi molto duri.

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