Che Matteo Salvini ribadisca, la sera del 20 novembre, nel martedì più nero del governo andato sotto alla Camera sul ddl corruzione, per tranquillizzare Luigi Di Maio, una cosa da sempre granitica certezza nella Lega, scolpita nel dna di quel partito, ovvero che, essendo “il voto sbagliatissimo”, la linea lì la decide il segretario (e figuriamoci un segretario così forte) più che una rassicurazione, può sembrare, letta in controluce, come una sfida. Che potrebbe suonare così, visto che neppure un bambino può credere che Salvini non tenga a bada i suoi: caro Di Maio, piuttosto sei tu che devi far valere la tua linea nel tuo partito, linea insidiata in continuazione dai tuoi dissidenti che stanno mettendo i bastoni tra le ruote ora al decreto sicurezza leghista. Decreto che scade il 3 dicembre.
Un deputato della Lega sotto anonimato non a caso confida a un’agenzia di stampa: “Abbiamo voluto mandare un segnale ai 5 Stelle”. Il segnale è molto forte. È quello di una Lega più in ascesa che mai nei sondaggi che non vuole restare imbrigliata in quella che Umberto Bossi una volta definiva la “palude romana”. Che stavolta potrebbe essere, sotto la pressione dello spread e dello scontro a tutta birra con l’Europa, non la soluzione delle elezioni anticipate magari subito dopo le Europee, ma il fantasma di un governo di salvezza nazionale.
Questo sarebbe il vero spettro della Lega di Salvini. E quindi, visto che la miglior difesa è l’attacco, la Lega sembra inaugurare la strategia del pressing sempre più forte nei confronti di un alleato che mostra di non saper più semmai decidere lui la linea del suo partito, incalzato come è dai dissidenti dell’ala dura e pura del MoVimento.
Da qui l’affondo sui termovalorizzatori, allo scopo di dimostrare che un po’ di buon governo locale leghista esportato al Sud è utile a quel Meridione dove la Lega è obbligata a sfondare davvero per centrare il cruciale obiettivo di Salvini di far diventare il suo Carroccio il partito della nazione che dà le carte. In questo è evidente che torna ad avere una sua centralità anche un Silvio Berlusconi, che certo non è più protagonista come una volta, ma viene dato come in uno stereotipato rituale ormai da 24 anni ogni volta un po’ troppo prematuramente sul definitivo viale del tramonto.
Non è un caso che proprio in questi giorni grigi-neri del governo gialloverde Salvini non solo sia tornato a casa, del Cav, a Roma ma abbia replicato a un Di Maio molto irritato che lui il caffè lo prende con chi crede perché nel contratto “non c’è divieto di caffè”. Naturalmente ogni volta il ministro dell’Interno e vicepremier sottolinea che lui resta fedele al contratto e che il governo deve andare avanti per tutti i cinque anni. Ma per la prima volta ha aggiunto: “Se non mi fanno saltare prima”. E qui però il capo leghista sembrava alludere non solo ai 5 Stelle e alle loro manovre interne ma forse anche a certi pezzi di establishment apparsi finora più benevoli con i 5 Stelle che con la Lega. Chissà.
È comunque un fatto che Salvini abbia rivendicato la sua alleanza con Berlusconi, al di fuori del governo. E al presidente del Parlamento europeo e vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani abbia significativamente risposto: “Abbiamo governato insieme tanti anni, spero torneremo a farlo”. Musica, dopo un certo gelo, per le orecchie del moderato e europeista Tajani, che in un’intervista al Messaggero aveva invitato in modo chiaro e tondo Salvini a staccare la spina al governo dopo le Europee e a dar vita a un esecutivo di centrodestra, con l’appoggio di responsabili e volenterosi “per il bene del Paese”. Evidente che se non solo il numero due di Berlusconi ma la guida dell’unica istituzione eletta della Ue fa un affondo del genere è perché ha la contezza del difficile tornante del governo giallo-verde e dello stesso Paese. Che l’esecutivo vada avanti almeno fino alle Europee è ormai nel conto.
Ma certo quello del martedì nero del 20 novembre, che ha visto a voto segreto, ottenuto in particolare su pressione di Fi, 36 deputati, tra cui secondo i maliziosi gli stessi leghisti, mandar sotto l’esecutivo sull’emendamento dell’ex5 Stelle Catello Vitiello attenuativo delle pene per il peculato, non può che far dire al forzista Francesco Paolo Sisto: “È stato un serio scricchiolio”.
Come dire:il governo va avanti, ma forse d’ora in poi non è più tutto come prima.